Ma è proprio per questo che avete costruito le torri, no? Non sono forse state costruite come fantasie di ricchezza e potere destinate un giorno a trasformarsi in fantasie di distruzione? Una cosa del genere la si costruisce soltanto per vederla crollare. La provocazione è evidente. Altrimenti perché spingersi così in alto, e poi raddoppiare, farlo due volte? In fin dei conti è una fantasia, perché non realizzarla due volte? In pratica è come dire: “Ecco qua, ora buttatela giù”.
Don DeLillo, L’uomo che cade
La storia, a quest’ora, è ormai ben nota: siccome a Bologna dei privati hanno organizzato una mostra di street art, che prevede l’esposizione in uno spazio museale di opere staccate (con il consenso dei proprietari dei muri, ma senza quello degli autori) dalla loro sede originaria, qualcuno, in particolare Blu (notissimo, e bravissimo, artista originario di Senigallia) ha deciso, per protesta, di cancellare tutte le sue opere presenti sui muri di Bologna. E sono tante, e belle, e importanti.
Sul fatto specifico si sta dibattendo molto, e sulle questioni teoriche generali che ci stanno dietro immagino ci sia in corso da anni una riflessione cospicua, della quale io non so niente. Ma niente, proprio. Però la cosa mi sembra molto interessante: e queste foto che girano, di un artista che distrugge sistematicamente le sue gigantesche opere, hanno un impatto emotivo perturbante. Un turbamento che merita di essere indagato un attimo.
L’opera di un writer – credo – nasce da un preciso intento: riappropriarsi di uno spazio (di solito degradato/brutto/insignificante) attraverso l’arte (e renderlo così vivibile/bello/significativo). L’opera, insomma, è inscindibile dal luogo in cui viene creata, e dal gesto (artistico ma anche politico) che la crea. Conseguenza diretta di questa azione è la scelta di “consegnare” al luogo l’opera, rinunciando a farne occasione di arricchimento personale, cioè merce.
Il fatto che Blu, nello scarno messaggio con cui spiega il suo gesto, parli degli organizzatori della mostra come di “magnaccia” rimanda chiaramente ad una prostituzione dell’arte, che del resto non c’è da oggi. Però Blu ha il sacrosanto diritto di vederla diversamente, almeno per quanto lo riguarda personalmente.
Però come far valere questo diritto, quando la tua opera è lì, in uno spazio pubblico, su un muro che non è tuo, e chiunque può farne quel che vuole? (cosa se ne fa, di solito, è peraltro il segno dello stato di avanzamento civile e culturale di chi vive in quello spazio: forse anche questo vogliono – consciamente o inconsciamente – misurare i writers).
Qualcuno, insomma, può pensare di staccarla per venderla, qualcun altro di coprirla per motivi di (presunto) decoro urbano, qualcuno può – animato da quelle buone intenzioni di cui è lastricata la famosa strada – decidere di volerla salvaguardare, e lasciarla a futura memoria in un museo (dinamica, fra l’altro, presente da secoli nella nostra cultura: di solito, infatti, nulla di quel che sta in un museo era nato per stare lì, spesso – anzi – era nato in polemica con le cose esposte di solito nei musei).
Quindi?
Quindi niente. Possono starci tante ragioni per decidere di tirar via un’opera di Blu da un muro e farne altro. Alcune ragioni possono essere anche buone, non discuto.
Però poi c’è Blu, che di quelle opere è l’autore, con la sua poetica e la sua idea di arte e di artista. E non c’è ragione al mondo che possa portarmi a non condividere la sua sacrosanta scelta di restituire all’effimero quelle opere da lui create su un muro che grazie a lui ha smesso di essere anonimo: lui le aveva fatte per Bologna, per quegli spazi, e se Bologna – secondo lui – non se le merita, ha ragione da vendere a coprirle di vernice grigia, anche se la cosa fa male (e se fa male a me, che fino a ieri sapevo a malapena chi fosse Blu, posso immaginare che effetto possa aver fatto a lui!).
Io, in definitiva, in quel gesto vedo un magnifico atto ribellione e di libertà, una sorta di suicidio stoico simbolico. In fondo, ci vedo un’altra opera d’arte, non meno bella di quella che ha distrutto.

Blu ed Ericailcane al porto di Ancona