Qualche appunto sull’Esame di Stato 2019

Di seguito qualche riflessione a caldo sulla circolare ministeriale uscita oggi che dà le linee guida per il nuovo Esame di Stato, e sul documento relativo alla prima prova scritta elaborato dalla commissione presieduta da Luca Serianni.

Era da tempo che si aspettavano indicazioni su come sarebbe stato il nuovo esame. Sopratutto lo aspettava la mia quinta, che chiedeva a me di che morte sarebbe dovuta morire e io non sapevo bene cosa rispondere. Fino ad oggi.

Oggi il Ministero risponde, con una circolare peraltro piuttosto chiara, in cui i burocrati del MIUR si prendono degli impegni precisi, fanno addirittura un cronoprogramma, che spero venga rispettato.

Prima di fare alcune osservazioni sulla prima prova (che non dovremmo più chiamare prova di italiano, ma prova di scrittura – ci torno) tre considerazioni generali:

  1. E’ una buona, buonissima notizia che si sia depotenziata, fino praticamente ad eliminarla, la presenza e l’importanza dell’Alternanza Scuola Lavoro all’Esame. Almeno nei Licei, incentrare il colloquio sull’esperienza di ASL era semplicemente assurdo.
  2. Altra buona notizia è la revisione del peso del credito; più peso al percorso svolto durante il triennio, un po’ meno alle prove. Bene. A margine, e solo per addetti ai lavori: buonissima notizia che siano stati rivisti i requisiti minimi per poter accedere al “bonus” di cinque punti: così è equilibrato, mentre prima era praticamente assurdo: l’asticella era ridicolamente bassa per il credito scolastico, assurdamente alta per i voti nelle prove d’esame.
  3. Anche l’eliminazione del terzo scritto mi pare una buona cosa: poche prove, concentrate sui fondamentali, sono sufficienti. E c’è la speranza che gli studenti prendano più sul serio le prove, ma anche i fondamentali.

Veniamo ora alla prima prova d’esame. Anche qui, avendo fretta, vado per punti:

  1. Mi pare che il documento di Serianni&C. prenda atto meglio che in passato del fatto che la scrittura è qualcosa di strettamente, intimamente legato al ragionamento, alla capacità critica, alla espressione delle proprie idee. Una competenza trasversale quant’altre mai. Credo che convincersi di questo farebbe bene a tutti, compresi gli insegnanti di lettere, che non dovrebbero pretendere il monopolio sulla lingua e sulla scrittura (un po’ perché da soli non ce le possiamo fare, e finisce che che ci stressiamo; un po’ perché dobbiamo poter dare lo spazio necessario allo specifico letterario della disciplina. Di queste cose parlo, fra altri ragionamenti, qui).
  2. Il documento mette al centro della proposta (che è sì finalizzata all’Esame, ma che in realtà è una proposta didattica a tutto campo) due elementi: la capacità argomentativa e la comprensione del testo. Sono due emergenze della didattica dell’italiano e della società/comunicazione contemporanea, lo sappiamo. Sulla utilità di incentrare su questo la prova di esame farei dei distinguo: certamente è importante che uno studente in uscita dalla secondaria sappia dimostrare di capire un testo e di saper sviluppare un ragionamento; altrettanto certamente c’è da stare attenti sia a come lo verifico, sia a come lo preparo. In entrambi i casi il rischio di ridurre il tutto a schemi e griglie, ad una forma che non tocca davvero la complessità dei problemi in campo, c’è tutto. Soprattutto con questi tempi brevi, soprattutto di questi tempi. Insomma: come nel caso del saggio breve, se le intenzioni sono (erano) ottime, la realizzazione è stata (potrebbe essere) molto problematica.
  3. Già, il saggio breve va in pensione. Abbiamo passato anni a capire cosa diavolo fosse, forse alla fine abbiamo deciso che era una cosa diversa da quella che avevano pensato gli ideatori. Resteremo, credo, col dubbio. Io non ne sentirò la mancanza, ma proprio per niente: era una prova difficile da impostare, impossibile da fare bene. Ora ci sono sette prove, e tutte si somigliano un po’: in sostanza si dà un testo abbastanza lungo e si chiede prima di dimostrare di averlo capito, poi di commentarlo. Parzialmente diverse sono le ultime due tracce, quelle di attualità, ma anche lì può essere offerto un testo da cui partire. Era, questa, una tendenza che già si poteva vedere negli anni scorsi, a leggere con occhio critico le tracce degli ultimi esami (io ho provato a farlo qualche volta, ad esempio qui e qui); probabilmente la commissione Serianni ha recepito un’esigenza che era già chiara agli estensori delle prove degli ultimi anni. Mi pare una strada giusta, sensata: anche il fatto che la struttura delle tracce non sia troppo diversificata (o che la diversificazione delle richieste sia interna ad ogni singola traccia) mi pare aiuti e razionalizzi il lavoro di preparazione degli insegnanti e dei ragazzi.
  4. Infine, il posto della letteratura. Fra gli addetti ai lavori negli ultimi anni si era temuto che la letteratura scomparisse dalla prima prova dell’Esame di Stato. Probabilmente il rischio c’è stato, serio. Per fortuna non è andata così. E’ scomparso il saggio breve di ambito artistico letterario (che negli ultimi anni era diventato davvero un ricettacolo di luoghi comuni già nella scelta di temi e testi, e che non poteva che moltiplicare le ovvietà e i luoghi comuni negli elaborati dei maturandi), ma ci saranno due diverse proposte di analisi di testi artistico-letterari. Mi pare giusto per due motivi: il primo è che l’analisi del testo è la tipologia più adatta per mettere alla prova quanto si è imparato in un corso di letteratura, e di farlo confrontandosi con l’oggetto letterario reale, il testo appunto (e chissà, questo darà ulteriore impulso ad una didattica della letteratura che metta davvero e sempre al centro il testo e la sua interpretazione?). L’altro è che avere a disposizone due tracce potrebbe permettere alla commissione di diversificare e osare un po’ di più: una traccia potrebbe essere dedicata ad un testo più canonico, legato agli autori e all’epoca tradizionalmente più studiata nel programma di quinto (dall’Unità alla Seconda Guerra Mondiale); un’altra potrebbe essere più sperimentale, magari legata ad un autore più recente, non canonico, che possa offrire agli studenti la possibilità di confrontarsi liberamente con una voce dalla contemporaneità. Possibile obiezione: una traccia del genere non la sceglierà nessuno! Contro-obiezione: a parte che dipende da noi insegnanti, e da quanto coraggio sappiamo trasmettere ai nostri studenti, ma in ogni caso tracce del genere, tracce coraggiose, potranno dare forza ad una didattica della letteratura che già nelle scuole c’è, ma che non trova ancora la forza per scardinare incrostazioni e resistenze.

 

Degli studi

Così Giorgio Agamben:

Occorre rovesciare il luogo comune secondo cui tutte le attività umane sono definite dalla loro utilità. In forza di questo principio, le cose più evidentemente superflue vengono oggi iscritte in un paradigma utilitaristico, ricodificando come bisogni attività umane che sono sempre state fatte soltanto per puro diletto. Dovrebbe essere chiaro, infatti, che in una società dominata dall’utilità, proprio le cose inutili diventano un bene da salvaguardare. A questa categoria appartiene lo studio. La condizione studentesca è anzi per molti la sola occasione di fare l’esperienza oggi sempre più rara di una vita sottratta a scopi utilitari. Per questo la trasformazione delle facoltà umanistiche in scuole professionali è, per gli studenti, insieme un inganno e uno scempio: un inganno, perché non esiste né può esistere una professione che corrisponda allo studio (e tale non è certamente la sempre più rarefatta e screditata didattica); uno scempio, perché priva gli studenti di ciò che costituiva il senso più proprio della loro condizione, lasciando che, ancor prima di essere catturati nel mercato del lavoro, vita e pensiero, uniti nello studio, si separino per essi irrevocabilmente.

Leggi tutto sul sito di Quodlibet.

La letteratura viva

Organizzare e condurre a termine un laboratorio di lettura che coinvolge trecento studenti, di due città e molte scuole diverse, con cui ci si incontra per un anno per discutere di e intorno a un libro, per vedere quali domande suscita, e infine condividere queste domande con l’autore, costa una gran fatica, e richiede il contributo di tantissime persone. Che però valga la pena di farlo lo dicono molte cose; e fra le tante scelgo il sorriso e l’emozione colte in questa foto.

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Insegnare la Shoah?

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Un po’ di tempo fa Free Ebrei, una rivista telematica di cultura ebraica, mi ha chiesto di scrivere un articolo su come affrontare il tema Shoah a scuola; articolo che alla fine è stato sì pubblicato, ma il giorno di Ferragosto o giù di lì, forse non il momento dell’anno più propizio per riflettere su questi temi.

Magari riproporlo alla vigilia del 16 ottobre può avere, forse, un suo senso: l’articolo si può leggere a questo link.

Il giudice e il cancelliere

Miei cari amici, come sapete, sono professore di storia. Il passato costituisce la materia del mio insegnamento. Io vi narro battaglie cui non ho assistito, vi descrivo monumenti snewsextra_212458comparsi ben prima della mia nascita, vi parlo di uomini che non ho mai visto. La situazione in cui mi trovo è quella di tutti gli storici. Noi non abbiamo una conoscenza immediata e personale degli avvenimenti di un tempo, paragonabile a quella che il vostro professore di fisica ha, per esempio, dell’elettricità. Non sappiamo nulla, su di essi, se non per i racconti degli uomini che li videro compiersi. Quando questi racconti ci mancano, la nostra ignoranza è totale e senza rimedio. Tutti noi storici, i più grandi come i più piccoli, rassomigliamo a un povero fisico cieco e impotente che non fosse informato sui suoi esperimenti altro che dai resoconti del suo aiuto laboratori. Noi siamo dei giudici istruttori incaricati d’una vasta inchiesta sul passato. Come i nostri confratelli del Palazzo di Giustizia, raccogliamo testimonianze con l’aiuto delle quali cerchiamo di ricostruire la realtà. Ma è sufficiente riunire queste testimonianze e poi cucirle l’una con l’altra? No di certo. Il compito del giudice istruttore non si confonde con quello del suo cancelliere. I testimoni non sono tutti sinceri, né la loro memoria sempre fedele: tanto che non si potrebbero accogliere le loro deposizioni senza alcun controllo. Come si comportano dunque gli storici, per trarre un po’ di verità dagli errori e dalle menzogne, e per mettere da parte, fra tanto loglio, un po’ di buon grano? L’arte di discernere nei racconti il vero, il falso e il verosimile si chiama critica storica.

(Marc Bloch, 1913)

Foscolo e i poveri

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Ho letto Lettera a una professoressa che avrò avuto vent’anni, e non esito a dire che mi ha cambiato, anche se quella volta lì, alla prima lettura, non ho capito tutto, e anzi alcune parti mi hanno fatto persino arrabbiare. Per esempio io, a vent’anni più o meno, mi ero scritto a lettere per vari motivi, ma il principale era che la mia prof del liceo, leggendo I sepolcri, si era messa a piangere. Credo fosse il passaggio della preghiera di Elettra a Giove. Poi in Lettera a una professoressa avevo trovato (p. 130) il passaggio sull’interrogazione sui Sepolcri, quello in cui la prof chiede di volgere in prosa i vv. 138 e seguenti del poema (“Ma ove dorme…”) e finisce così:

“Volgi in prosa”. Il mio sguardo vagava su quelle parole strane senza sapere dove posarsi. Lei mi sorrideva: “Su via, son cose facili, le ho spiegate ieri. Non hai studiato”. Era vero. Non avevo studiato. Io non dirò mai ai miei scolari che inaugurare vuol dire augurare male. C’è scritto nella nota. Ma è una bugia. L’ha inventata il Foscolo perché non voleva bene ai poveri. Non ha voluto far fatica per noi.

Amavo da matti Foscolo e I Sepolcri, la prof aveva pianto leggendoli, mi ero iscritto a lettere contro tutto e contro tutti e stavo preparando Letteratura italiana I: e questo mi viene a dire che Foscolo non voleva bene ai poveri e così via? va da sé che mi sono incazzato, che ho trovato quel passo della Lettera irritante e sbagliato.

Ci ho messo un po’, forse anni, a capire che i ragazzi di Barbiana in quel passo non parlavano di Foscolo ma della scuola, e del modo in cui noi professori (nel frattempo sono diventato professore) intendiamo quel complicatissimo rapporto a tre fra noi, i nostri studenti, e le cose che insegniamo.

Forse oggi, primo giorno di scuola, l’ho capito ancora meglio, perché ho avuto la fortuna di incontrare, uno dopo l’altro, due articoli di Eraldo Affinati, uno sulla scuola e sul priore di Barbiana, l’altro proprio su Foscolo.

Il primo, per la cronaca, è stato anche occasione di una bella discussione sulla scuola ‘buona’ in terza effe.

 

Prima prova, prime impressioni

Ho avuto finora modo di scorrere in maniera parziale le tracce della prima prova di quest’anno: qualche prima impressione, intanto, poi ci tornerò con più calma.

  1. Il brano di Eco scelto per l’analisi del testo è di per sé molto interessante, affronta un tema (il nesso fra letteratura, lingua e identità) che è certamente fondamentale, attuale e affascinante. Però, al di là del fatto che è orrendamente tagliuzzato, e del fatto che presenta una tesi già molto forte e autorevole con la quale non sarà semplice interloquire per un ragazzo di 19 anni, ha il grave difetto di essere un testo adatto, più che ad una analisi del testo (quindi anche dei dati formali, dello stile, del posto che occupa nella letteratura), ad una riflessione argomentativa, ad una discussione di un tema generale. E’, insomma, un testo che avrei visto meglio fra i documenti di un saggio breve sul senso della letteratura oggi (o meglio ancora come punto di partenza per una discussione didattica fra addetti ai lavori), piuttosto che come oggetto di una analisi del testo alla maturità.
  2. A margine del punto uno: è un segno dei tempi che venga proposto, per l’analisi, un testo che spinge a discutere sul ruolo della letteratura e non un brano letterario da analizzare: come se si dicesse che il posto della letteratura non è scontato, che questo è il momento di discuterlo, di verificarlo. Non è detto sia un male; è, appunto, la certificazione di una condizione pericolante della letteratura nella scuola.
  3. L’argomento del saggio breve artistico-letterario non è (non lo è mai) originalissimo, ma si presta a molti agganci sia con gli argomenti curricolari sia con l’esperienza diretta dei ragazzi: sembra una traccia molto abbordabile, ma aspetto di leggere i documenti.
  4. Molto bella la scelta del tema del saggio “politico”, il paesaggio: sono anche riusciti a far fare bella figura a Sgarbi con un brano che dice cose inappuntabili, mi pare. Ma Sgarbi “scritto” è, si sa, molto diverso da quello televisivo. Dicevo però il tema, su cui Settis insiste da anni: è azzeccatissimo e centrale per l’attuale senso della cittadinanza. Anche molti politici (che tendono a pensare al paesaggio solo come qualcosa da sfruttare, magari – quando va bene – a fini turistici) dovrebbero riflettere su quei testi.
  5. Il tema storico, secondo una tendenza che era già dello scorso anno, è fondato su documenti (secondo una tendenza generale alla sfumatura progressiva delle differenze fra le varie tipologie testuali in una direzione che genericamente è quella della “scrittura documentata”), è legato al nodo cruciale degli anni della nascita della Repubblica, è dedicato al voto alle donne e fondato su voci femminili, permette un approccio interdisciplinare fra storia e letteratura (per quanto le letterate citate siano ahimè molto poco conosciute), è basato su un saggio uscito nella rivista pubblicata dall’Istituto Storico delle Marche. Tutte belle notizie. Visto il tema e l’approccio spero che sia svolto da più studenti rispetto al solito.
  6. Gli altri temi hanno spunti interessanti (l’economia oltre il PIL, i confini, l’avventura spaziale): mi chiedo quanti elementi possano avere gli studenti per trattarli.

Di certo, se trattiamo queste tracce anche come spunti per un metodo di lavoro nel trattamento delle materie umanistiche a scuola, abbiamo molto su cui riflettere.

Milioni di domande

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Diversi mesi fa abbiamo iniziato (io, l’Istituto Storico di Macerata, il festival Macerata Racconta, diverse amiche insegnanti, molti ragazzi e ragazze delle scuole di Macerata e Recanati) un percorso in compagnia de L’ultimo arrivato, il romanzo di Marco Balzano che lo scorso anno ha vinto il Premio Campiello (un romanzo molto bello, che consiglio caldamente).

Insomma, abbiamo letto il libro, ci siamo interrogati sulle vicende di migrazione e marginalità che racconta, abbiamo approfondito (partendo da qui) la storia e il presente delle migrazioni, abbiamo scoperto altri libri molto belli, come lo straordinario Milano, Coreainsomma ci siamo affezionati a Ninetto Pelleossa, il protagonista del libro, e alla voce che gli ha dato Marco Balzano.

Finalmente, domani e dopodomani, a Macerata e a Recanati, Marco ci viene a trovare (i dettagli sul sito di Macerata Racconta e su quello dell’Istituto Storico), viene a trovare i circa duecento ragazzi che hanno letto il libro, i quali hanno preparato… milioni di domande. Le guardo stampate qui davanti a me, e sono un po’ preoccupato: probabilmente l’autore non avrà tempo di rispondere a tutte. Ma alla fine ma non fa niente: quando un libro ha suscitato delle domande, molte domande, ha già fatto un bel pezzo del suo lavoro.

Gli incontri sono aperti al pubblico: vi aspetto!

Un’isola

Poco fa ero in una classe seconda di un liceo di Macerata: finiva un laboratorio intitolato “Dire la guerra”, e l’ultima tappa prevedeva un momento di scrittura creativa: dopo aver letto tanto, poesia e prosa, sulla guerra, chi voleva poteva provare a scrivere una poesia. Siamo partiti dalla frase di Izet Sarajlić resa famosa da Erri De Luca: “Chi ha fatto il turno di notte per impedire l’arresto del cuore del mondo? Noi, i poeti”. Questa era la scommessa: per una volta fare il turno di notte.

Ma quel che volevo dire in realtà era un’altra cosa, cioè quello che ho visto mentre le ragazze e i ragazzi scrivevano (tutti hanno scritto, moltissimi hanno letto agli altri): venticinque giovani donne e uomini, seduti, concentrati sulla loro interiorità, con un foglio e una penna, a scrivere una poesia. A me pare sempre una cosa incredibile. In senso letterale, stupenda. E’ un po’ lo stesso stupore di quando vedevo, le prime volte, le classi concentrate per due ore a provare a tradurre un brano di latino, o a scrivere un tema: non mi capacitavo del fatto che non scappassero via, che non protestassero, che non buttassero vocabolari e fogli dalla finestra. Eppure stavano lì, e quel loro stare lì (coi loro cervelli in azione, che quasi vedevi le sinapsi) a me pareva bello.

C’è sempre un elemento di costrizione, certo, la scuola è e resta un dispositivo. Però è anche un luogo in cui puoi trovare le condizioni per la concentrazione e la creatività, e non ci sono molte altre opportunità in giro.

Tutto considerato insomma, che esista un’isola in cui venticinque ragazze e ragazzi possono mettersi davanti ad un foglio, e davanti a sé stessi, e scrivere una poesia o un tema, una traduzione o una dimostrazione, per me è ancora una buona notizia. Qualcosa che va preservato.