Poesie per la quarantena / 17

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“Dottoressa chiamata aprile”: è un verso di una ‘poesia per musica’ (genere letterario oggi dai più chiamato ‘canzone’) di Francesco De Gregori. Me l’ha fatto ricordare poco fa un amico, Marco Sonaglia, che ogni sera su Facebook carica un video in cui interpreta una canzone, e così ci fa compagnia. Il protagonista della canzone, intitolata Gambadilegno a Parigi, è un vecchio che vive ai margini, solo, senza una gamba, e che ricorda la Atene della sua giovinezza, quando era bello sorprendesi per una nevicata imprevista. Oggi invece, nell’umida Parigi, l’inverno è un nemico, e Gambadilegno aspetta la primavera come si aspetta una dottoressa che curi tutti i tuoi acciacchi. E’ dura, per il vecchio Gambadilegno, ma lui va avanti, con il suo passo sghembo, contro le avversità: “Gambadilegno avanti, avanti, avanti marsh…”, è il verso con cui si conclude la canzone. Gambadilegno è ciascuno di noi, che consapevole della sua più o meno grande fragilità, aspetta con speranza la primavera, la medicina della dottoressa aprile. E nell’attesa che la medicina funzioni, anche noi comunque andiamo avanti. Avanti marsh.

Gambadilegno a Parigi

E allora sognò Atene
E la sua bocca spalancata
E la sua mano da riscaldare
E la sua vita stonata
E quel suo mare senza onde
E la sua vita gelata
E allora sognò Atene
Sotto una nevicata
Guardalo come cammina
Ballerino di samba
E come inciampa in ogni spigolo
Innamorato e ridicolo
Come guida la banda
Come attraversa la strada
Senza una gamba
Portami via da questa terra
Da questa pubblica città
Da questo albergo tutto fatto a scale
Da questa umidità
Dottoressa chiamata Aprile
Che conosci l’inferno
Portami via da questo inverno
Portami via da qua
E allora sognò Atene
E l’ospedale militare
Ed i soldati carichi di pioggia
E un compleanno da ricordare
Ed un ombrello sulla spiaggia
E un dopoguerra sul lungomare
E allora sognò il tempo
Che lo voleva fermare
Guardalo come cammina
Lazzaro di Notre Dame
Come sta dritto nella tempesta
Alla fermata del tram
Chiama un tassì si mette avanti
Dai Campi Elisi alla Grande Arche
Gambadilegno avanti avanti
Avanti marsch
Da: Francesco De Gregori, Pezzi

Qui una versione live di De Gregori; la versione di Marco Sonaglia si può vedere sul suo profilo Facebook.

Foto: Parigi dalla finestra di casa di mio fratello (foto mia). Ci saremmo dovuti tornare, secondo i piani, fra una settimana esatta.

 

Utopie con la v

Da mercoledì a sabato, a Macerata, c’è questo festival di teatro contemporaneo indipendente che si chiama Utovie, con la v. C’è dentro tantissima roba, probabilmente tutta bellissima, di certo nuova e rara per Macerata. Non sarà un festival teatrale normale, infatti niente si svolge dentro un teatro, ma in vari luoghi della città, spesso aperti, spesso strani. Utovie è alla prima edizione, ed è obbligatorio che parta col piede giusto, quindi andateci in tanti, andateci tutti, voi là fuori.  Ci si vede lì.

Qui il sito, con il programma e tutto quanto.

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Victoria

Ieri sera ho visto un film molto bello, un film tedesco di cui si è parlato soprattutto per uno strabiliante artificio tecnico: è girato con un unico piano sequenza di due ore e venti minuti circa; ed è un film d’azione, mica la panoramica sulle sale di un palazzo nobiliare! Qui la camera a mano segue i protagonisti in una movimentata notte berlinese, e racconta come quelle due ore e venti sconvolgano la loro vita per sempre. Il film si intitola Victoria, e se (come vi consiglio) lo andrete a vedere, non leggete quel che segue, perché è pieno di spoiler.

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Insegnare la Shoah?

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Un po’ di tempo fa Free Ebrei, una rivista telematica di cultura ebraica, mi ha chiesto di scrivere un articolo su come affrontare il tema Shoah a scuola; articolo che alla fine è stato sì pubblicato, ma il giorno di Ferragosto o giù di lì, forse non il momento dell’anno più propizio per riflettere su questi temi.

Magari riproporlo alla vigilia del 16 ottobre può avere, forse, un suo senso: l’articolo si può leggere a questo link.

Questi giorni

 

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Maria Roveran e Marta Gastini in Questi giorni

Domenica 25 settembre, metà pomeriggio. Non è il momento migliore per presentare un film ad Ancona: la gente percepisce che questa è forse l’ultima domenica dell’anno in cui si sente ancora l’odore dell’estate, e passare un pomeriggio al buio di una sala cinematografia a molti non deve essere sembrata una buona idea. Così, ad accogliere il regista che viene a presentare il suo nuovo film, non si può certo dire che ci sia il pubblico delle grandi occasioni.

Però i non molti presenti possono ascoltare un uomo timido, e – sotto la sprezzatura – raffinato, che ti accompagna dentro al film con un discorso semplice e profondo basato su due concetti: uno, che il vero realismo non è provare a fotografare la realtà così come appare, ma coglierne il senso profondo (avrà mica letto Siti, il regista?); due, corollario del primo ragionamento, che il rapporto fra verità e finzione al cinema è rovesciato: la verità puoi coglierla solo portando all’estremo la finzione, la costruzione fittizia. Guai, per un attore e per un regista, provare ad “essere naturale” sulla scena o dietro la cinepresa. Continua a leggere

Julieta

Un po’ di tempo fa ho visto Julieta, un film di Pedro Almodovar tratto da un bel libro di Alice Munro, che in italiano si intitola In fuga. Un film, secondo me, che regala alcune scene davvero belle (quella dell’accappatoio, in cui si gestisce magistralmente il sempre difficile passaggio di consegne fra l’attore che interpreta il personaggio giovane e quello che lo interpreta anziano) e soprattutto con uno sguardo sull’umanità consolante ma non consolatorio.

Riflettevo, uscito dal cinema, su quanto sarebbe bello che più spesso nella vita si incontrassero persone simili a tanti dei personaggi di questo film: capaci di volere bene, di perdonare, di non diventare ciechi per gelosia e desiderio di possesso; e persone che sappiano anche accettare negli altri scelte diverse, diversi modi di amare.

I melodrammi di Almodovar sono sempre un inno alla comprensione e all’accettazione, dell’altro e della vita. Purtroppo, con tutta evidenza, c’è in giro un sacco di gente che non guarda i film di Almodovar.

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Mon oncle

Per fortuna, mi dico a volte, che ho una cultura molto limitata, e delle lacune totali su alcune espressioni artistiche, momenti e personaggi fondamentali. Questo mi permette, sulla soglia dei quarantaquattro anni, di vivere esperienze estetiche completamente nuove e totalizzanti come si mi affacciassi al mondo (o almeno a quel singolo pezzo di mondo che è l’espressione artistica in questione) per la prima volta.

Per esempio, in vita mia non avevo mai visto un film di Jacques Tati, e l’altra sera sono finito quasi per caso a vedere Mon oncle, film girato da Tati nel 1958, nella mia sala cinematografica preferita (per la cronaca: il Cinema Azzurro di Ancona): una festa dell’intelligenza, dell’ironia e della bellezza, questo mi è sembrato Mon oncle. Evviva l’ignoranza, dunque, che rende possibili le feste.

Qui sotto, la scena che più mi ha incantato:

La pazza gioia

990x659xla-pazza-gioia-pagespeed-ic-zbfss3xmrdCosa mi piace del cinema di Virzì? Prima di tutto i personaggi, sempre piuttosto complessi e molto credibili rispetto agli standard della commedia italiana di oggi; e, in stretta relazione a questo, il lavoro sugli attori (è tanto bravo è spremere da loro il massimo che certe volte stenti a riconoscerli; vabbè, il caso Ferilli è esemplare). Poi la sua capacità di raccontare l’Italia. E la scelta consapevole e coerente di mettersi – unico capace di farlo bene – nel solco della grande commedia all’italiana di Scola e Monicelli. E poi mi piace anche il coraggio di fare sempre film politici senza esagerare con la retorica, ma anche senza tentennamenti e senza concessioni allo spirito dei tempi. Continua a leggere

Un bacio

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Domenica scorsa, 3 aprile, allo spettacolo dell’ora di cena, in una grandissima e semivuota sala del Goldoni abbiamo visto questo film italiano che ci è piaciuto molto: Un bacio, di Ivan Cotroneo (primo film che mi capitava di vedere di questo regista).

E’ la storia di tre ragazzi di sedici anni, tutti e tre emarginati: Lorenzo, un vulcanico, vitalissimo omosessuale orfano e appena adottato dopo mille peregrinazioni; Blu, una ragazza bella, sensibile e musona che è da tutti additata come la troia; Antonio, un ragazzo timido, bravo solo a pallacanestro, bocciato, traumatizzato dalla perdita dell’amatissimo fratello in un incidente stradale.

Fra i tre nasce una strana e intensissima amicizia fra sfigati, commovente nei momenti più solari, incasinati e felici, ma destinata a complicarsi terribilmente.

Gli attori protagonisti sono magnifici, soprattutto l’esordiente interprete di Lorenzo, Rimau Grillo Ritzberger. Il regista molto bravo a tenere il ritmo e soprattutto consapevole di quel che sta costruendo, facendo reagire Fate ignoranti Jules et JimMilk e… Mika!

Del suo approccio mi sono piaciute soprattutto due cose: la prima è che prova a trattare con rispetto e amore il mondo adolescenziale, senza sopraccigli inarcati e senza moralismi: avere sedici anni è complicato, e se sei un frocio, una puttana, un deficiente lo è molto di più, ma in ogni caso se hai sedici anni non sei un bambino e non vai trattato come un bambino: Cotroneo non lo fa: sta dalla loro parte; loro – ci ricorda – sono il futuro, e quindi non stiamo qui tanto a menarcela, noi adulti, per favore, con i nostri “ai miei tempi”!

Seconda cosa: trattando argomenti come omofobia e bullismo, l’autore sa benissimo che la strada verso la loro sconfitta è lunga e tortuosa; e non siamo vicini al traguardo, nemmeno un po’. E sa che una certa maggiore libertà di esprimere il proprio essere, oggi presente almeno in alcuni ambienti, non è un traguardo raggiunto, ma un punto di partenza, perché questa espressione libera di sé resta – per chi la esercita, come Lorenzo nel film – piena di rischi; il primo: quello di una reazione violenta di chi non ha gli strumenti psicologici e culturali per accettare davvero una diversità non più nascosta, segregata, rimossa. Questo è il punto in cui siamo e che il film fotografa (anche allo scopo di promuovere presso il pubblico giovanile la consapevolezza della necessità di ulteriori passi). Per questo motivo Un bacio, quasi in contraddizione con la scelta di un linguaggio apparentemente leggero, da commedia, non è per niente consolatorio, e ci sbatte in faccia senza pietà la durezza del mondo.

Un film da vedere, dunque, e che spero davvero tanto piaccia non solo agli adulti, ma anche agli adolescenti che lo andranno a vedere.

***

Uscendo dal cinema ho ripensato ad A., un mio alunno di tanti anni fa, che somigliava in tante cose a Lorenzo: come Lorenzo si vestiva e parlava in maniera strana, e gli piaceva ballare, magari sui banchi se ce n’era l’occasione. Non lo vedo da tantissimi anni, forse dalla sera che ci siamo salutati – un po’ teatralmente: lui era così – alla fine della terza media. Ma so che ha la sua vita, che è diventato un artista, e parla pubblicamente della sua omosessualità. Ogni tanto vedo le sue foto su internet, su facebook: è bello, quasi sempre sorridente, sembra felice. Ma so che niente è mai facile, per chi come lui e come Lorenzo vuole vivere la sua vita a modo suo, senza paura. Auguri, dunque, a tutti gli A. e a tutti i Lorenzo.

[pro memoria 03/16]

Libri acquistati – Tzvetan Todorov, La conquista dell’America; Edgardo Franzosini, Questa vita tuttavia mi pesa molto; Jonathan Franzen, Purity; Philipp Meyer, Ruggine americana; Luigi Meneghello, L’apprendistato; Vittorio Sermonti, Il vizio di leggere; Alexandra Laignel-Lavastine, Il fascismo rimosso: Cioran, Eliade, Ionesco; Walter Bonatti, Una vita così; Joe Sacco, Neven; Anna Ferrari, Dizionario dei luoghi letterari immaginari; AA.VV., Storia della Shoah. La crisi dell’Europa, lo sterminio degli ebrei e la memoria del XX secolo.

Libri letti – Franco Alasia, Danilo Montaldi, Milano, Corea; Walter Siti, Il realismo è l’impossibile; Don De Lillo, L’uomo che cade, Edgardo Franzosini, Questa vita tuttavia mi pesa molto; Francesco Pecoraro, La vita in tempo di pace (vabbe’, quasi finito…);

Film visti – Il caso Spotlight; Il figlio di Saul; Una volta nella vita; Lo chiamavano Jeeg Robot; (Cloverfield); (Hunger Games – La ragazza di fuoco); (Il pranzo di Babette); Brooklyn;

Altro (una selezione da tutto il resto) – K.O. Knausgård, Viaggio al centro del cervello (da «Internazionale»); R. Ceserani, La maledizione degli ismi («Allegoria») e la risposta di Raffaele Donnarumma e il seguito del dibattito…; Gianni Celati, I costumi degli italiani…; Umberto Eco, Postille a Il nome della rosa;

 

(Titolo alternativo per questo post: Non c’è mai abbastanza tempo)