
Maria Roveran e Marta Gastini in Questi giorni
Domenica 25 settembre, metà pomeriggio. Non è il momento migliore per presentare un film ad Ancona: la gente percepisce che questa è forse l’ultima domenica dell’anno in cui si sente ancora l’odore dell’estate, e passare un pomeriggio al buio di una sala cinematografia a molti non deve essere sembrata una buona idea. Così, ad accogliere il regista che viene a presentare il suo nuovo film, non si può certo dire che ci sia il pubblico delle grandi occasioni.
Però i non molti presenti possono ascoltare un uomo timido, e – sotto la sprezzatura – raffinato, che ti accompagna dentro al film con un discorso semplice e profondo basato su due concetti: uno, che il vero realismo non è provare a fotografare la realtà così come appare, ma coglierne il senso profondo (avrà mica letto Siti, il regista?); due, corollario del primo ragionamento, che il rapporto fra verità e finzione al cinema è rovesciato: la verità puoi coglierla solo portando all’estremo la finzione, la costruzione fittizia. Guai, per un attore e per un regista, provare ad “essere naturale” sulla scena o dietro la cinepresa.
Detto questo, per spiegarci come mai ha voluto fare un film – lui più che sessantenne – su quattro ragazze ventenni, ha raccontato una pagina di Guerra e pace, quella in cui Andrej sente Nataša cantare, si commuove e prova un attaccamento alla vita che pensava di aver perduto per sempre. Ora, a spiegare qui il collegamento fra questa pagina di Tolstoj e l’ispirazione che nutre il film Questi giorni di Giuseppe Piccioni, finirei per dire un sacco di banalità e forse rovinare anche il film. Però insomma il regista sessantenne e passa voleva provare, questo ho capito, a verificare se poteva ancora sentir cantare Nataša, ecco. Ed è stato molto bello, vi assicuro, sentirglielo dire con quella timida sprezzatura lì.
E anche il film è bello, questa storia di quattro giovani, quattro ragazze che provano a fare i conti col loro diventare donne. Un film di atmosfere e sentimenti, in cui la storia è poco più che un pretesto, e diventa tanto più bello proprio nei momenti in cui sembra fatto proprio di niente, di quel niente di cui è fatta la vita che cambia e ti cambia impercettibilmente, ogni giorno; come quando le quattro ragazze si mettono a ridere come sceme, di notte, dentro una tenda in un campeggio, ed è proprio come capitava a noi a vent’anni, uguale spaccato. Una cosa che secondo me, da fare è al cinema, è difficilissima. Ci vuole un sacco di artificio nascosto.
Il regista è stato aiutato, a far diventare il film così bello, non tanto dalla sceneggiatura, che come dicevo è poco più che un pretesto (e quando prova ad imporsi, quasi dà fastidio), ma da quelle quattro attrici giovani, poco conosciute, e davvero bravissime, fra le quali spicca certamente Maria Roveran, che interpreta una giovane studentessa di letteratura inglese, Liliana, che deve fare conti con la durezza della vita, e nonostante i suoi problemi deve portarsi sulle spalle pure le sofferenze e le debolezze altrui. E come Liliana si carica sulle spalle il peso di tante vite, allo stesso modo Maria Roveran, con la sua figura acerba, di una bellezza a volte dura, i suoi sguardi intensi e spigolosi, regge un bel pezzo del film, e contribuisce in maniera fondamentale a determinare il tono di tutta l’opera.
Alla fine del film torna il regista: ha appena dieci minuti, un quarto d’ora, da dedicare al dialogo col pubblico, poi deve scappare in un’altra città, ad un’altra presentazione. In quei dieci minuti vengono fatte tre o quattro domande, tutte (a parte quelle di rito del gestore della sala) completamente sbagliate: chi si lamenta della colonna sonora, chi voleva più stilemi piccioniani (che, peraltro, ci sono), chi voleva storie più concluse. Alla fine il regista sbotta: “cominciamo male!”. E ha ragione.
Io, ci fosse stato il tempo, gli avrei chiesto se un film così bello sulla gioventù e sul tempo un giovane di vent’anni di oggi può, secondo lui, capirlo. Non so, ma qualche dubbio mi viene: un po’ perché è un film sulla nostalgia, più che sulla gioventù, e un giovane di nostalgia ne sa ancora troppo poco. Ma soprattutto perché, mi chiedo, chi, oggi, è educato ad uno sguardo così raffinato, così sensibile, così profondo? Forse, alla fine, Questi giorni è un film troppo bello, e questo tempo non se lo merita.
Questi giorni è nelle sale ora: andate a vederlo, se potete.