Didattica della storia

Il 25 aprile mi pare un buon giorno per rubare ad Antonio Brusa e condividere questa riflessione sulla didattica della storia (da Facebook).

Sumer e il califfo

I fatti sono noti. Un ragazzino dice alla ministra “com’è che studiamo i sumeri e non studiamo Isis?”. La ministra risponde “ma veramente? fammi vedere che mo’ aggiusto i programmi”. Il giornalista di costume commenta, si infiammano le chat, intervengono giornalisti e storici.

Quante volte abbiamo abbiamo litigato sul tema: “dobbiamo studiare il presente o è meglio studiare i tempi passati?” lo stesso Canfora ricorda quanto ci si accalorò nel ’68, che era mezzo secolo fa. E già questo fatto dovrebbe metterci in allarme.

Va bene discutere. Ma non sarebbe il caso di considerare alcuni fatti reali, in modo da evitare che la discussione sia sempre e soltanto sui principi (meglio il passato o il presente?), che tanto quelli non passano mai? Per esempio.

fatto n. 1: dal 1960 i programmi italiani prescrivono di arrivare al presente. E da allora non ci si arriva mai.

fatto n. 2: dal 1996 l’ultimo anno è destinato al solo studio del Novecento. Ma, alla sua fine non ci si arriva lo stesso, e intanto il tempo passa e, a quel Novecento di Berlinguer, si sono aggiunti ancora altri 20 anni (compreso l’Isis).

fatto n. 3: dal 1996 si sono succedute tre riforme dei programmi e due progetti di riforma non andati in porto. Tutti con l’impegno di arrivare ai giorni nostri. Tutti, in questo impegno, generalmente disattesi.

fatto n. 4: con la riforma del duo Moratti-Gelmini (a suo tempo lodata da molti) alla storia/geografia sono state sottratte 100 ore nella media; una quantità indefinibile, ma molto superiore, nelle elementari (abolizione dei moduli); un terzo in molte superiori (con il trucco della geostoria). E su questo ridotto parco orario, si è caricato anche l’insegnamento dell’Educazione civile.

Da questi fatti dovrebbero discendere alcune conseguenze:

conseguenza n. 1: che il “presentismo” della scuola è un fantasma, reale solo nei dibattiti, ma contumace ostinato nella pratica didattica.

conseguenza n. 2: che se fosse questione di tempo, un buon rimedio, giusto per riparare qualche danno, sarebbe quello di restituire alla storia le ore tagliate.

conseguenza n. 3: ma poiché non ci si arrivava nemmeno prima, quando le ore non erano state tagliate, nemmeno prima, quando non c’era l’Isis e la crisi del 2008 e tutti i fatti che occuperebbero lo studio del tempo presente; poiché non ci si arrivava MAI, quale che fosse il tempo e i programmi e i libri a disposizione, allora la questione deve essere di concezione, progettazione e organizzazione del lavoro didattico. In una parola, di didattica storica e di formazione dei docenti.

Tali conseguenze potrebbero portarci a considerare con interesse alcuni fatti:

fatto n. 5: che in questo mezzo secolo di accapigliamenti, se sia meglio studiare il passato o il presente, non si è pensato a istituire un centro di ricerca serio sulla didattica della storia.

fatto n. 6: che l’Università ha boicottato nella realtà (al di là delle dichiarazioni formali) qualsiasi tentativo di lanciare la ricerca didattica, qualsiasi insegnamento di didattica disciplinare (e non solo storica).

fatto n. 7: che, dopo i tentativi delle Ssis e dei Tfa, al momento attuale siamo sprovvisti di sistemi universitari di formazione dei docenti.

fatto n. 8: che, come si è visto alla riunione della Sissco con le relatrici di maggioranza dei decreti attuativi della 107 (Ghizzoni e Piccoli), anche nel caso questi corsi partissero, e si avviassero i tirocini formativi, non avremmo un (dicasi UNO) docente universitario o di formazione comparabile, in grado di reggere un insegnamento di didattica storica, formare i tutor e fornire ai docenti soluzioni sperimentate, discusse scientificamente.

Sulle conseguenze, bene: provate ad aggiungerle voi.

 

Primo Levi e la fantascienza

primolevi

E’ capitato che proprio oggi, a trent’anni esatti dalla morte di Primo Levi, sia capitato a Torino, la sua città, dove ho incontrato un po’ di colleghi e fra questi Stefano, che mi ha detto di aver scritto un articolo proprio su Primo Levi per il sito della Treccani.

Se volete celebrare questo anniversario, la lettura del breve e illuminante articolo di Stefano può essere un bel modo per farlo.

Nella scuola italiana, la fantascienza di Primo Levi rimane pressoché ignorata. Si preferiscono i racconti del Sistema periodico, felice connubio di cultura umanistica e scientifica, e soprattutto i romanzi-saggio sulla tragedia dell’internamento. Peraltro, il senso profondo di queste narrazioni storiche viene spesso edulcorato, in nome di una celebrazione retorica della memoria che indebolisce il loro valore attuale, di monito ed insegnamento per noi, qui e ora. Invece, l’opera di “profeta tecnografo” – così Levi definisce lo scrittore di fantascienza in un articolo pubblicato il 20 gennaio 1974 sul quotidiano «La Stampa» – propone stimoli sorprendenti e poco comuni nel percorso culturale degli studenti. In quella sede, lo scrittore distingue i tecnografi, che immaginano e descrivono il futuro, dai tecnocrati che lo costruiscono nella realtà: a questi ultimi affida «il compito urgente di frenare la loro folle corsa verso il profitto immediato, e di utilizzare il colossale patrimonio di conoscenze che si è accumulato in questi ultimi decenni per fare dono all’umanità di un destino meno precario e meno doloroso».

Continua sul sito della Treccani, dove c’è un intero speciale dedicato al grande scrittore.

Take me home

Riprese-sul-tetto-dellHotel-House

Che poi con Claudio (dopo la sua lezione in cui ci ha parlato di paprika, intrighi internazionali e giovani Sherlock Holmes, ma sempre e rigorosamente in chiave onirica) al Passepartout ci siamo andati davvero! E siccome non vogliamo farci mancare niente, con noi c’erano anche Elena e Giorgio.

Elena è Maria Elena Fermanelli, che è consigliere con delega alla solidarietà e all’integrazione di Porto Recanati (e ha ottenuto recentemente il bel risultato dell’istituzione della Consulta dei Migranti nel suo comune). Giorgio è Giorgio Cingolani, che è artefice, con Claudio e altri, di un progetto che merita di essere conosciuto da tutti, e approfitto per segnalarlo. Giorgio, che di mestiere fa l’antropologo e il documentarista, già autore di un bel documentario su quella straordinaria (in senso letterale) realtà che è l’Hotel House di Porto Recanati, ha avuto l’idea di realizzare un laboratorio di introduzione al cinema con i ragazzi che in quell’esplosivo serbatoio di vita e di esperienze nomadi e diversissime vivono, e di fare poi con questi stessi ragazzi un film. Il tutto senza l’aiuto di nessuno: senza un’istituzione, un progetto comunale o europeo, uno straccio di sponsor. Insomma: senza una lira; ma anche con tutta la libertà di questo mondo.

Ora il film, che si chiama Homeward bound come una canzone di Simon & Garfunkel, è quasi pronto, e aspira a girare il mondo proprio come sono abituati a fare il suo regista e i suoi protagonisti (qui altre informazioni). Lavorare insieme, tirare fuori i talenti di ognuno, raccontarsi e confrontare le proprie storie con quelle degli altri, sono i migliori antidoti alla xenofobia, e Homeward bound fa proprio questo, e tutti a mio avviso dovrebbero essere grati al lavoro di chi lo ha reso possibile.

Update: mi dicono che è iniziata proprio oggi una campagna di crowdfunding per finanziare il completamento e la distribuzione del film. Io un piccolo contributo l’ho dato: datevi da fare anche voi!!!

Let’s dream!

Vediamo di far ripartire questo blog che, da molto tempo, annaspava. Intanto ho cambiato il suo aspetto, ancora più minimal come vuole una certa moda degli architetti e dei creativi del web. Arriverò presto a piccole scritte nere (o meglio ancora, grigio scuro) su uno schermo completamente bianco: ci sto lavorando.

Nei contenuti, la novità sarà che metterò qui, oltre a qualche divagazione, a qualche appunto di varia umanità come ho sempre fatto, anche la segnalazione di alcune cose fra le tante e diverse nelle quali mi capita di trovarmi coinvolto negli ultimi tempi. Anche perché ho bisogno di uno spazio, preferibilmente non del tutto autoreferenziale, per riflettere sullo strano e un po’ indefinibile lavoro che sto facendo in questi mesi.

Comincio da qui: venerdì un amico, Claudio Gaetani, verrà a parlare al corso che sto tenendo all’Università di istruzione permanente di Recanati, un corso sul Sogno nella letteratura che è una delle cose belle che mi sono capitate quest’anno: c’è una “classe” vivace e interessata, un’aula dove alla sera – quando arrivo io – pare di cogliere ancora le voci e i respiri dei ragazzi che la abitano al mattino, e che sono stati miei alunni l’anno scorso, e la possibilità di parlare di cose belle, e di ascoltare amici che parlano di cose ancora più belle.

La settimana scorsa, ad esempio, è venuta Elena Frontaloni, che ci ha raccontato come sognava, e come e perché raccontava i suoi sogni Dolores Prato, con una passione rara e autentica, che solo chi ha fatto un grosso e lungo lavoro a contatto diretto con un autore e coi suoi manoscritti forse può avere, e trasmettere. E’ stato un regalo straordinario.

Venerdì invece, come dicevo, viene Claudio Gaetani. Claudio è uno che vive di cinema, lo studia (per esempio in questo e quest’altro libro) e lo fa (qui un bellissimo progetto a cui partecipa, qui un cortometraggio in cui si vede – qualche secondo prima del minuto 4.00 – anche che bellissima faccia da attore c’ha – invidia invidia invidia!). Ci parlerà del sogno nel (del?) cinema. Chi vuole è il benvenuto: ci trova venerdì alle 18.30 al piano terra di Palazzo Venieri, a Recanati. Poi si può andare a prendere un aperitivo al Passepartout.

locandina gaetani-page-001

Si ricomincia, con calma.

Di solito, dopo la pausa estiva, mi piace ricominciare con settembre, ma quest’anno settembre è stato mese di cambiamenti, di novità, e quindi mi son dovuto concentrare su quel che succedeva là fuori. Così è già arrivato ottobre, e tuttequestecose è stato in silenzio fin troppo a lungo. Però adesso si riparte, e il problema vero – ora – è che in questi mesi di cose da dire, da segnalare, su cui riflettere, se ne sono accumulate fin troppe, e non si sa da dove cominciare.

Cominciamo allora, senza troppo impegno da parte mia, con due o tre segnalazioni:

1. Dicono che vogliono fare “La Buona Scuola”, ma intanto continuano a tagliarla, e taglia taglia finirà che tutti ci convinceremo che bisognerà farla finanziare ai privati, perché così non si va più avanti, e quando arriveranno i privati con i loro soldi, le loro idee, la loro organizzazione e magari anche la loro didattica, noi saremo costretti ad essere perfino contenti. La prenderanno, ci prenderanno, insomma, per fame. E le menti più brillanti, intanto, invece di stare in classe a insegnare devono passare il tempo a scrivere begli articoli, giustamente indignati, nei blog.

***

2. Ieri sera sono stato alla presentazione di un libro. Ci sono andato – lo confesso – con un certo scetticismo, e più per amicizia verso gli organizzatori che per altro. Il titolo del libro (Da Moro a Berlinguer. Il Pdup dal 1978 al 1984) e la mole (oltre 400 pagine) non facevano francamente ben sperare, e qualche amico mi aveva detto di aspettarsi, da una serata del genere, una sorta di “riunione di reduci garibaldini”. Be’, mi sono dovuto ricredere, e di molto: gli autori, Carlo Latini e Valerio Calzolaio, hanno una forza e una intelligenza (compresa quella superiore forma di intelligenza che è l’autoironia) che la maggior parte dei politici oggi sulla cresta dell’onda se la sogna proprio. E la storia della politica di quegli anni ha un sacco di cose da insegnarci, la prima è saper valutare la misura di una distanza abissale fra le prospettive di allora e lo spaesamento presente.

A chi non volesse leggere tutto il libro, sottopongo almeno la prima pagina, dalla prefazione di Luciana Castellina:

Del secolo scorso ai miei nipoti, e a quelli della loro generazione, im-
porta poco. Lo considerano anzi un’epoca oscura, colma di errori e di
orrori: guerre, persecuzioni, sconfitte da tutte le parti. In dettaglio, di
quanto realmente accaduto durante il Novecento, non conoscono qua-
si niente. I sondaggi compiuti ogni tanto nelle università (non dunque
al mercato, ma fra quelli che hanno studiato) danno risultati agghiac-
cianti. Alla domanda: «Chi ha vinto la Seconda guerra mondiale?», una
maggioranza ha risposto: l’America e la Germania. Ancora peggio alla
domanda sul Pci: sapevano dire qualcosa di questo partito? Sì: che era
stato al governo negli ultimi cinquant’anni.
Io non credo ci sia mai stata una rottura generazionale così profonda
come quella oggi intervenuta, una rimozione così completa del passato.
Né penso, però, sia stata, se si è verificata, colpa del destino. Penso piut-
tosto si sia trattato del risultato di un’operazione voluta e non innocen-
te. Voluta per cancellare non solo un pezzo di storia, ma l’idea stessa del-
la storia, vale a dire di avvenimenti che via via cambiano il modo di esi-
stere dell’umanità, nel meglio e nel peggio, e dunque aprono anche la
prospettiva che tornino a trasformare lo stato di cose esistente. Il risulta-
to è che a essere cancellato finisce per essere anche il futuro, di cui non
si riesce più a cogliere le possibilità. Tutti, insomma, chiusi nella gabbia
del presente. Molto comodo per chi vuole tagliare persino la fantasia,
l’idea stessa che il mondo possa essere cambiato. Non solo: comodo an-
che per chi detiene il potere e vorrebbe conservarlo contro ogni muta-
mento e perciò cerca con ogni mezzo di rendere incomprensibile anche
il presente: come ha scritto un filosofo contemporaneo importante,
Giorgio Agamben, per conoscere l’oggi devi studiare archeologia
 
 ***
3) Un altro libro che ho letto di recente (e come il precedente nato da queste parti, fra le colline del maceratese) è Femminile plurale, un viaggio nelle Marche attraverso lo sguardo di diciassette scrittrici molto diverse ma unite dalla capacità di uno sguardo profondo sul paesaggio e sulla cultura che in questo paesaggio si è prodotta e si produce. L’abbiamo presentato, sabato scorso, in un luogo meraviglioso: la sala del Polittico del Lotto dei Musei Civici di Recanati (dove ci sono anche un paio di notevolissime annunciazioni/incarnazioni); poi, sul più bello, mentre Renata leggeva del suo incontro col gatto di Lotto, il diavolo (il gatto?) ci ha messo la coda: è andata via la luce nel Museo e in tutto il quartiere e ci siamo ritrovati a leggere il racconto alla luce di un telefonino-torcia, al cospetto di un’annunciazione appena illuminata dal riflesso della luce sul libro. Una cosa molto suggestiva, ma che ha impedito al pubblico di comprare una copia del libro: si può rimediare.

Un lungo intervallo

In questo periodo ho un po’ da fare, e la testa un po’ piena quindi non riesco a ritagliarmi lo spazio per qualche pensiero da condividere qui. Nessuno si preoccupi: torno presto!

Intanto segnalo, per chi non lo avesse ancora visto, quello che è già stato definito – con qualche ragione – il vero manifesto per la rinascita della sinistra (da non confondere con l’altro, che pure esce oggi).

A fagiuolo.

Ecco un bel consiglio di lettura. Tempestivo, diciamo.

Amerigo, lui, aveva imparato che in politica i cambiamenti avvengono per vie lunghe e complicate, e non c’è da aspettarseli da un giorno all’altro, come per un giro di fortuna; anche per lui, come per tanti, farsi un’esperienza aveva voluto dire diventare un poco pessimista.

D’altro canto, c’era sempre la morale che bisogna continuare a fare quanto si può, giorno per giorno; nella politica come in tutto il resto della vita, per chi non è un balordo, contano quei due principi lì: non farsi mai troppe illusioni e non smetter di credere che ogni cosa che fai potrà servire.

Gli spassi di Luca

Luca Sofri s’è inventato un bel passatempo, e l’ha applicato ad un esempio che, per una ormai antica idiosincrasia, non posso non apprezzare.

Per una serie di collegamenti accidentali successivi, di quelli tipici dello stare online, ieri al Post siamo finiti sulla funzione di Google Translate che “legge ad alta voce” il testo che ci incollate (funzione disponibile anche in molti altri servizi e programmi): il tastino in basso a sinistra con l’altoparlante. E ne abbiamo scoperto un potenziale sovversivo e illuminante: ovvero il risultato che si ottiene facendo leggere alla signorina Google certi editoriali dei quotidiani (in realtà rende ridicolo un po’ tutto, ma con gli editoriali dei quotidiani funziona di più). Vi consiglio, ogni volta che leggete qualcosa che vi pare di rara tromboneria, di sottoporlo a questo procedimento: e tutto vi apparirà in una luce migliore, o almeno più leggera.
Tipo, il fondo di Alessandro D’Avenia sulla Stampa di oggi.

Suggerisco, per continuare, elzeviri a caso di Pigi Battista e Francesco Merlo. Buon divertimento.