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Farfalle
Stanotte un gruppo di ragazzi ha ridipinto e restaurato i giochi di un parco pubblico; di notte, per fare una sorpresa ai bambini che lo frequentano; da soli, per dare un senso di gratuità e di impegno per il bene comune.
Loro descrivono la loro azione con queste parole:
questa notte cinquanta farfalle sono venute nel nostro parco. Si sono poggiate su giostre e panchine e le hanno lisciate, smaltate, colorate. Poi si son fermate sul muro del campetto per una firma, alle 6.30 di questa mattina, quando finito il lavoro dopo 9 ore sono andate via, silenziose…
Stefano, uno dei protagonisti, ne parla così:
E cosi, alle 4 di mattina, ti trovi a raccontare di una nottata passata con qualche decina di matti a pitturare le giostre di un parco. Per fare una sorpresa ai bambini della città e a un quartiere intero.
L’abbiamo chiamato notte dei beni comuni, perché una comunità che si riappropria di uno spazio, che lo cambia e modifica, lo fa proprio e lo rende migliore (andando anche oltre quanto già fa ogni giorno) è essa stessa il primo, prezioso, bene di tutti.
Tutto questo avviene a Recanati, per opera del Centro Culturale Fonti San Lorenzo, e noi a questo centro gli dobbiamo voler bene.
Lanterne e lucciole
Il 22 novembre dello scorso anno ho scritto una mail al Segretario del Circolo del PD di Recanati, per annunciargli le mie dimissioni dal direttivo cittadino e la decisione di non rinnovare la tessera. Avevo rimandato a lungo – per senso del dovere, per non ammettere un errore di valutazione, per amicizia, anche – ma non ce la facevo proprio più, e le prospettive per il futuro, prossimo e lontano, erano se possibile anche peggiori, quindi gli scrissi queste cose (ho tagliato le parti meno interessanti, più contingenti):
Caro Segretario,
ti scrivo per comunicarti che ho deciso di dimettermi dal Direttivo del PD di Recanati, di cui sei coordinatore. È stata una scelta dolorosa, frutto della riflessione personale di molti mesi e di cui non ho voluto finora parlare con nessuno.
In questi mesi, dopo le feste dell’Unità provinciale e comunale di settembre […] non mi sono fatto più vedere. E’ stato non solo per i nuovi impegni lavorativi, che pure c’erano, ma per una precisa scelta politica, dovuta al disagio nei confronti della nuova fase politica del PD, a tutti i livelli, da quello nazionale a quello locale. Ho infatti un giudizio del tutto negativo del governo e della cultura politica di chi guida il PD in questo momento, e non vedo in tutta onestà margini perché questo possa tornare ad essere un partito dove possa avere casa, magari insieme ad altre culture politiche, una sinistra che metta al primo posto la solidarietà, l’equità, la laicità: i valori che da sempre considero punti fermi della mia vita politica e non solo.
Gli elementi di dissenso sono molti, vengono da lontano, e non ho mai mancato di segnalarli; non è questo il luogo per una disamina dettagliata della deriva di questo Partito Democratico negli ultimi anni, dalle scelte di governo alle prospettive culturali e ideali. Mi limito a segnalare, a titolo di esempio, […] la scellerata – scellerata – politica del governo in carica sul lavoro e sulla scuola, indegne davvero, l’una e l’altra, di una tradizione che del rispetto della cultura e del lavoro aveva sempre fatto un punto qualificante. […]
Ma al di là dei casi singoli, quello che davvero mi preoccupa, e su cui voglio dire due parole, è l’impressione, sempre più chiara, che il Partito Democratico abbia rinunciato persino a cercare di costruire un’idea alternativa del futuro dell’Italia: in assenza di una cultura politica degna di questo nome, in assenza di una prospettiva, il Partito Democratico ha preso atto che non può far altro che accettare l’ideologia dominante di un mondo del tutto succube dell’economia e della finanza, e proporsi semplicemente come il più adatto a governare questo mondo, il più bravo ad amministrare l’esistente. Se è così, non mi interessa, perché è un progetto perdente. A fare i galoppini dei finanzieri saranno sempre più bravi quelli di destra! […]
Sono cose che continuo a pensare, anche se a dire il vero sull’ultima frase ho – ormai – qualche serio dubbio: anche il PD, in effetti, mi sembra francamente diventato bravissimo. Comunque.
Si parva licet, per qualche anno, a Recanati avevo svolto dentro il Partito Democratico più o meno le stesse funzioni di Pippo Civati a livello nazionale. Diverse a seconda delle fasi: coscienza critica, rompiscatole, minoranza della minoranza, organizzatore di eventi un po’ snob ma pieni di belle idee, collettore di energie diffuse più sul web che nella vita reale, eccetera; il tutto con una costante: non contare praticamente un cazzo nell’effettiva vita politica del partito. A controprova: la totale indifferenza del partito per l’una e l’altra uscita, sempre si parva licet.
Dell’avventura che mi ha legato a Civati (da lontanissimo, visto che non ci siamo di fatto mai conosciuti direttamente) ricordo soprattutto un incontro che ho fatto, con una amica, in un paese qui vicino per sostenere la sua candidatura alle primarie: non conoscevamo nessuno, la candidatura di Renzi era supportata da un giovane politico di successo (attuale sindaco di quel paese, non a caso); pensavamo, insomma, di andare a prendere solo scoppole. Invece, pensa un po’, fu un piccolo trionfo: le idee e le parole di questi outsider (il giovane politico lombardo intelligente, telegenico e dalla battuta facile; l’oscuro professorino impacciato prestato per un attimo alla politica…) strapparono una manciata abbondante di voti fra i militanti storici di quel paesino lì. E’ stato, mi dico col senno di poi, forse il più grande successo della mia non-carriera politica: convincere quella dozzina di persone lì a votare Civati. Il che è tutto dire sulla mia carriera politica, peraltro.
Poi, dicevo, io sono uscito, a novembre. Contribuirono alla scelta anche le tristi sorti del movimento “civatiano” che vedevo frantumarsi intorno a me, confuso e disorientato. Il progetto nato con le primarie era andato a farsi friggere, e Civati sembrava non meno confuso e disorientato dei suoi sostenitori. Naturalmente mi aspettavo che anche lui se ne andasse, da un momento all’altro, ma a quel punto non sapevo più nemmeno tanto bene se mi interessava o no, non sapevo cosa sperare, né cosa aspettarmi, fuori da quella roba per me ormai incomprensibile e indigeribile che stava diventando il Partito Democratico.
Adesso che, 164 giorni dopo, pure Civati è uscito, mi chiedo cosa farà, cosa farò, e se da qualche parte nascerà un progetto politico in cui possa ancora riconoscermi. Per ora non vedo nulla di buono, fra deriva nazional-populista di Renzi, un mondo della sinistra imbarazzante per frammentazione e mancanza di proposte realmente progressive, movimentismi confusi e aggressivi. Vedo in questo paese un deficit enorme di cultura politica, e di cultura tout court. Il panorama mi appare scuro – le lanterne, o anche solo i lumini, tutti spenti. Dal balcone di casa, la sera, vedo che son tornate le lucciole di Pasolini, ma il messaggio che mi mandano col loro alfabeto morse è indecifrabile.
Gli anni Settanta, e due romanzi.
Un po’ di tempo fa, mi è stato chiesto da Macerata Racconta di provare a trovare un romanzo italiano che potesse servire da spunto per parlare, con i ragazzi di alcune scuole, degli anni Settanta. Io ho proposto Morte di un uomo felice, di Giorgio Fontana, un romanzo bello, sobrio e intenso (e per questo quasi “inattuale”, tanto più se si pensa che l’ha scritto un autore poco più che trentenne) che racconta la storia di un giudice in lotta contro il terrorismo, e che dai terroristi viene ucciso a Milano proprio nell’anno in cui Fontana è nato, il 1981. Da questo libro è nato un percorso che mi ha portato a parlare con ragazze e ragazzi nati alla fine degli anni Novanta o all’inizio degli anni Zero di quei circa dieci anni di storia d’Italia complicati e contraddittori in cui – incidentalmente – sono nato anche io: anni che erano iniziati sotto la grande spinta della contestazione e che sarebbero finiti nell’atmosfera plumbea raccontata con sensibilità dal romanzo di Fontana (il percorso si concluderà ai primi di maggio con l’incontro dell’autore con gli studenti).
Nella conversazione avuta con questi ragazzi (qui una traccia), ci siamo fra l’altro interrogati su come possa essere successo che lo slancio verso il futuro, rivoluzionario per certi aspetti, della fine degli anni Sessanta sia finito così male, fra stragi, violenze, droga, e peggio ancora un senso generale di sconfitta e inutilità che – negli anni della mia adolescenza – noi degli Ottanta abbiamo cercato di mascherare nei modi più vari, stordendoci di consumi o di qualcos’altro – qualsiasi cosa, bastava che ci evitasse di pensare troppo all’evidente assenza non solo di utopie, ma anche di prospettive. Parlando di tutto questo ci è sembrato di individuare un nodo chiave nel 1977, anno di una nuova ondata di “movimenti” che però aveva caratteri del tutto diversi, perché in un contesto del tutto diverso nasceva: precarietà invece di crescita, rabbia invece di un utopia, spesso disperazione. Un anno che – a guardarlo da qui – non sembra neppure troppo diverso da quel che stiamo vivendo oggi, da quel che presumibilmente vive un ragazzo di oggi. Con un’aggravante, forse: c’è la rabbia, c’è la precarità, c’è la disperazione, ma non c’è in vista neppure l’ombra di un movimento verso qualcos’altro, e questo non migliora le cose.
Il 1977 è anche l’anno in cui si innamorano Aurora e Giovanni, i protagonisti di un romanzo uscito da poco, e che ho finito di leggere da pochi minuti, Gli anni al contrario di Nadia Terranova. Un breve romanzo ambientato per lo più a Messina, che racconta benissimo, in maniera essenziale e senza mai il bisogno di rifugiarsi nella ricostruzione storica o sociologica fine a sé stessa, la disfatta di una generazione rimasta incastrata nei propri sogni, o forse ancor di più in quelli di chi li aveva preceduti. Sogni in cui privato e politico si intrecciano, la voglia di cambiare il mondo e quella di affermare il proprio io non sempre si distinguono facilmente, e le trappole (la droga, la malattia da un lato, la necessità di sacrificare tutto per tirare avanti dall’altro) sembrano essere più forti di ogni volontà. In mezzo a tutto questo Mara, la bimba che subito nasce dalla relazione fra Aurora e Giovanni, e che deve crescere e trovare la sua strada fra due genitori che di strade aperte davanti a loro non ne vedono più. Il tutto è raccontato con una semplicità e una sintesi che all’inizio mi hanno quasi disturbato, poi mi hanno progressivamente conquistato, proprio per la scelta di non dire nulla di più dell’essenziale, sacrificando ogni vezzo e ogni appesantimento.
Giorgio Fontana, dicevo, nato nel 1981, fa morire proprio in quell’anno il suo giudice; mentre Mara nasce, se non ho fatto male i conti, proprio nello stesso anno di Nadia Terranova. In queste volute coincidenze sembra esserci la necessità per una generazione di fare i conti con quella precedente, ma anche il riconoscimento di una ciclicità, di una vicinanza, come se per trent’anni avessimo girato a vuoto e ora ci trovassimo con lo stesso spaesamento dei nostri vecchi, solo un po’ più disillusi, un po’ più stanchi. Però nell’ultima pagina [spoiler] de Gli anni al contrario prende la parola proprio Mara, ormai adulta e consapevole, e ci dice che quella fino a questo momento raccontata è la storia dei suoi occhi, occhi che fin dal giorno in cui è nata hanno inquietato e quasi impaurito per la loro profondità, e dentro ai quali c’è però una misteriosa forza per andare avanti. Forse, allora, anche negli occhi dei ragazzi di oggi, delle figlie e dei figli di questa mia generazione, c’è una qualche luce, una forza misteriosa, che noi a volte facciamo fatica a vedere, e che è la stessa luce profonda degli occhi di Mara, una luce che deve essere ancora raccontata.
In questa notte fantastica (ti porto via con me)
Domenica pomeriggio ci sarà la prima nazionale, a Recanati, del film di Mario Martone dedicato a Giacomo Leopardi, Il giovane favoloso. La sera prima, seguendo la moda di questi anni di dedicare una *notte ad ogni evento appena un po’ diverso dal solito, ci sarà a Recanati la notte del giovane favoloso.
Ogni studente, anche mediocre, sa che Leopardi aveva un rapporto pessimo con Recanati. I più scafati sanno anche che in realtà senza Recanati – i suoi paesaggi, i suoi personaggi, il suo stesso isolamento – Leopardi non sarebbe stato lo stesso. Forse non sarebbe stato Leopardi. E’ un po’ come con i genitori, insomma, o in certe storie d’amore tormentate: legami tanto dolorosi quanto necessari.
E la *relazione complicata fra Leopardi e il suo paesotto non è andata poi tanto meglio nemmeno “in morte” di Giacomo, quando s’è tentato in ogni modo di normalizzarlo, vuoi facendone un padre della patria (lui così anarchico, in fondo) ai tempi del nazionalismo otto-novecentesco, vuoi provando a trasformarlo – dopo la mutazione antropologia degli anni Sessanta – in una mascotte, poi in un gadget, e ora in un brand.
Sia chiaro: io non me la sento di criticare chi sta organizzando tutto questo ambaradàn per celebrare il film su Giacomo Leopardi, con balli, canti tradizionali, annulli filatelici, carrozze, costumi d’epoca, rievocazioni di giochi e arti e mestieri: molti di quelli che son coinvolti nell’organizzazione sono amici, e un brivido mi corre alla schiena solo pensando al mazzo tanto che si devono esser fatti e che si stanno facendo. Ben vengano le iniziative che portano turisti nei musei e gente nelle piazze. Tutto è stato fatto, in fondo, per amor di Giacomino e di Recanati. E capisco pure che fra le mille iniziative non ce ne sia nessuna legata direttamente alla letteratura, alla poesia: i convegni sono diventati polverosi e autoreferenziali, le letture poetiche narcisistiche e soporifere, e avrebbero rischiato di gettare una coltre funerea sull’atmosfera che si vuole invece, e giustamente, di festa.
Però. Però.
Però non posso fare a meno di sentire il disagio dell’assenza in tutto questo di ciò che Giacomo è stato davvero (è stato per me? secondo me? vabbe’, ammettiamolo pure: tanto si conosce sempre attraverso il proprio personale sguardo…), cioè un coraggiosissimo e audace pensatore poetante, che non ha concesso nemmeno un briciolo della sua intelligenza all’ammasso delle idee compiacenti o consolatorie.
Di più: il disagio viene dall’avvertire che Giacomo non avrebbe capito, o forse avrebbe capito fin troppo bene, tutto questo. Io me lo immagino, lì seduto da qualche parte a guardare con un occhio la festa un po’ farlocca nella piazzola, e con un occhio la luna, sentendo una distanza irrimediabile, abissale, dall’una e dall’altra.
Me lo vedo che favoleggia (lui, giovane davvero favoloso) di luoghi e tempi dove la poesia abbia ancora un posto nel mondo dei vivi, senza il bisogno della sua monumentalizzazione o della sua degradazione kitsch, della spettacolarizzazione ad ogni costo.
E me lo fingo anche mentre affila lo stilo della sua satira feroce e lo immerge al cuore dei grossolani mercenari della sua immagine.
E sogno che, alla fine, mi porti via insieme a lui da qualche parte: non importa dove, ma piuttosto lontano da qui.
Buon anno! O_o
Un politicante marchigiano, consigliere regionale, raccoglie centinaia di consensi pubblicando una vignetta fascista, e si congratula pure con l’autore del capolavoro (dall’evocativo nome “Faccetta Nera”: vedi foto); un altro politicante, assessore alla cultura di un capoluogo di provincia, va allo stadio esibendo una croce celtica; centinaia di persone, sul web, alla notizia che un politico magari un po’ imbranato ma simpatico e soprattutto per bene come Bersani ha avuto un ictus, si lanciano in auguri di morte e/o di sofferenze fantasiosamente atroci.
Sono piccoli indizi, episodi diversi fra loro, ma che insieme danno l’idea di quanto ci sarà da ricostruire, in questo 2014, e ben oltre.
Buon anno a tutti, e buon lavoro.
Il livello del dibattito
I protagonisti di questa storia siamo io, Gab Golan, insegnante di scuola secondaria e militante (pieno di dubbi, peraltro, come sa chi segue questo blog) del Partito Democratico, e Enzo Marangoni, consigliere regionale già a suo tempo avanguardista della Lega nelle Marche, poi espulso da quel movimento perché troppo leghista (voleva chiudere gli asili nido agli extracomunitari), quindi animatore di una lista civica ispirata a famiglia identità e territorio, recentissimamente folgorato sulla via della neorinata Forza Italia.
Ieri Marangoni ha condiviso sul suo profilo facebook una vignetta che si commenta da sola: questo è lo screenshot del suo profilo alle 17.30 circa di ieri:
Il fatto, di per sé triste e non nuovo, in fondo poco significativo in un dibattito politico che purtroppo si è abituato a questi toni, ha sollevato qualche discussione in rete e è stato ripreso anche dai mezzi di informazione (qui e qui, ad esempio; e anche qui).
Anch’io ho partecipato alla discussione apertasi nel profilo del Marangoni, con un commento duro ma, secondo me, pertinente in considerazione sia del becero messaggio presente nella vignetta, sia del riferimento quantomeno inopportuno a Mussolini (peraltro ormai sdoganatissimo: povera Italia!). Questo è il commento:
E’ semplicemente vergognoso e ignobile che un rappresentante delle istituzioni di questo paese “condivida” (se le parole hanno ancora un senso) una cosa del genere sul suo profilo. Si dovrebbe dimettere!
Dopo qualche ora, interviene il consigliere Marangoni. Così:
Ringrazio i 16 amici che hanno cliccato “Mi piace” sulla foto e sulla frase che ho condiviso da Roberta Savioli su fb. Ai 4 sinistrorsi che invece mi criticano, preciso invece che è proprio chi rappresenta le istituzioni (come il sottoscritto, la Boldrini, la Kyenge) che dovrebbe occuparsi, in primo luogo, dei milioni di italiani che vivono in povertà o ai limiti della povertà. Così come è proprio chi rappresenta le istituzioni che dovrebbe ricordarsi anzitutto delle centinaia di italiani (artigiani, piccoli imprenditori, disoccupati) che si sono suicidati per la crisi economica. E’ accaduto anche nella nostra regione, a Civitanova, dove lo scorso anno anno 3 persone si sono tolte la vita per disperazione economico-sociale. I politici debbono occuparsi del popolo italiano (che tra l’altro elegge i politici) e solo dopo di tutti altri popoli. Fatevelo raccontare dall’assessore Sglavo del Pd civitanovese che su fb ha scritto che, in certi casi, ci vorrebbe il Mussolini rappresentato nella foto. L’avete crocifissa per questo: ma voi siete “democratici”….dimenticavo….gli altri invece si devono “vergognare” solo perchè la pensano in modo diverso da voi sinistrorsi. Tutti quelli che la pensano in modo diverso da voi sono “inaccettabili” o fanno “demagogia”. Andate voi a zappare la terra…ma in Africa.
Io, a mia volta, replico:
E certo, chi critica è “sinistrorso” (che vorrà dire, poi…). Quanto ai mi piace, è facile prenderne con la demagogia e parlando solo alla pancia della gente, ma non si va molto lontano. Ribadisco che secondo me uno che non si rende conto della gravità del messaggio qui sopra riportato non è degno di sedere in istituzioni democratiche (se non altro perché la nostra democrazia è nata proprio in opposizione aperta alla dittatura instaurata dal personaggio a cui si dà ora voce in maniera così greve), e dovrebbe dimettersi immediatamente. Prendo comunque atto che il sig. Marangoni Enzo non si rammarica di aver pubblicato un messaggio apertamente fascista e xenofobo, offensivo di due alte rappresentanti della Repubblica Italiana: mi sembra che questo basti a dare la misura della pochezza del personaggio.
Embe’? Direte voi. Embè niente, in effetti: fin qui una normale scaramuccia fra due che hanno – diciamo così, idee della politica, delle istituzioni, dell’Italia – e forse della vita – un po’, sempre diciamo così, diverse. E in questi casi facebook non aiuta a moderare i toni, chi lo frequenta lo sa. E qnch’io ci sono cascato perché, lo confesso, dell’ultima frase del mio commento qui sopra non sono contento per niente.
Quello che normale non è, è quel che è successo nelle ore successive, non so di preciso quando, perché qualche ora dopo Marangoni ha replicato al mio ultimo commento, con dei riferimenti personali abbastanza chiari, e sufficientemente ingiustificati e offensivi. E al contempo ha ritenuto opportuno bloccarmi, in modo che il suo account scomparisse dal mio profilo, così che io non potessi né vedere quanto da lui scritto né tanto meno controreplicare.
Solo oggi, cincischiando dopo pranzo con l’Ipod di un amico, ho visto dal suo profilo che Marangoni mi ha degnato di cotanta risposta:
Una risposta peraltro frutto di un intenso labor limae, visto che la cronologia delle modifiche testimonia di un pensoso susseguirsi di ben dieci bozze, fra le quali una, questa, mi pare particolarmente significativa:
Ora, due semplici considerazioni. Per prima cosa: la scelta di polemizzare con il sottoscritto e al contempo bloccarmi e quindi impedirmi ogni possibilità di replica testimonia di per sé dell’idea di democrazia di chi queste azioni compie. La seconda , nel merito: certo, ho le mie idee politiche, e considero la destra italiana di questi ultimi vent’anni una destra culturalmente e politicamente inadeguata, per certi versi anche pericolosa, quindi la combatto nel dibattito pubblico e con l’azione politica (un’azione politica peraltro sempre molto marginale e disinteressata, di profilo assolutamente basso, e questo per una precisa scelta legata proprio al mestiere che svolgo, quello di insegnante): il che peraltro non significa che non abbia stima per tanti pensatori e politici espressione di una destra liberale e democratica, o che non sappia riconoscere i difetti della sinistra italiana di oggi, o che non sappia condannare le gravi derive del socialismo che la storia del Novecento ci ha fatto conoscere. Però da qui – dal fatto che mi permetto di partecipare al dibattito politico con le mie idee – a venirmi ad accusare di esercitare la “tracotante arroganza del pensiero comunista”, o (peggio) a dirmi che io non mi porrei l’obiettivo, nel mio lavoro di insegnante, di educare alla libertà, o (pessimo) che io manipolerei o proverei a “manipolare il cervello degli adolescenti”, be’, questo lo trovo davvero inaccettabile, e del tutto infondato: è solo un attacco vile e prepotente, ed è la dimostrazione, quanto meno, del fatto che il consigliere Marangoni non sa assolutamente nulla di me e del mio lavoro.
E forse proprio per questo il consigliere Marangoni ha scelto di impedirmi di rispondergli direttamente.
Tutto come da copione
Succede un fatto terribile, che sconvolge (come è ovvio) un’intera comunità (e chi scrive), qualche giovane fascista ci vede una bella occasione per ottenere visibilità invocando la pena di morte (ma a questo punto non sarebbe meglio un bel linciaggio come ai vecchi tempi, magari con tanto di cartolina commemorativa?), e la stampa online locale soffia sul fuoco, per qualche contatto in più.
Non sarebbe meglio ragionare su come fare in modo che gli assassini siano presi e paghino il giusto, in un paese dove carceri e giustizia funzionino veramente (non così, ad esempio)?
Nessunissimo problema
Girano alcuni video relativi ai momenti caldi dell’Assemblea Nazionale del Partito Democratico di ieri (intitolata “Dalla parte dell’Italia, con responsabilità e fiducia”), dove alcuni ordini del giorno presentati da minoranze interne non sono stati ammessi a votazione, sono stati “preclusi”, apparentemente senza giustificazione. Guardateli, soprattutto questo, soprattutto la parte in cui un ragazzo con la maglietta arancione parla con Bersani. Sono desolanti e istruttivi.
Desolanti perché mostrano – “plasticamente”, come si dice in questi casi – che il Partito Democratico, che in teoria dovrebbe essere il più importante strumento a disposizione dell’Italia per uscire dalla crisi, in realtà non trova nemmeno gli strumenti per affrontare democraticamente le sue eclatanti divisioni e indecisioni interne. Indecisioni peraltro a volte gravissime e inaccettabili in un partito che voglia essere (anche moderatamente) di sinistra (sempre che lo voglia, e qualcuno è certo che non sia più così), come nel caso dei diritti civili.
Istruttivi perché fanno capire, con la prossemica, gli sguardi, i toni di voce, che nella classe dirigente di questo partito non c’è nessun minimo comun denominatore, non c’è stima e rispetto reciproco: Bersani che, stancamente e senza crederci neanche più, cerca di far tornare in riga il giovane con la polo arancione, in nome di un presunto buon senso moderato (“ma perché ogni volta che facciamo un passettino…”), Ignazio Marino che urla “voto voto” e si guarda intorno in cerca di improbabili puntelli, Stumpo che si china sulle spalle del segretario suggerendo chissà cosa (Stumpo, personaggio misterioso: è responsabile dell’organizzazione del PD ma sulla rete, di lui, si trova pochissimo: chi è? che storia ha? chi l’ha messo lì? per quali meriti?), Rosy Bindi che perentoria rassicura la stampa: “non c’è nessunissimo problema”. E poi il buttafuori dalla faccia truce e intontita che impedisce con la forza al giornalista di continuare a riprendere il j’accuse dell’uomo in polo arancione verso il segretario del suo partito…
Ho rivisto più volte i video, osservato quei volti e quelle parole, quei gesti, e ogni volta che li vedevo li trovavo più familiari, poi ho capito: quell’assemblea era identica ai collegi docenti della mia scuola: stessa tensione frustrata di pochi, stessa mancanza di leadership, stessa apatia di una maggioranza disinteressata alla discussione, stessa indifferenza per il rispetto delle procedure democratiche. Il motivo di questa somiglianza è semplice: in entrambi i casi si tratta di strumenti assembleari puramente formali, vissuti con indifferenza e dispetto da chi conta davvero, perché tanto le decisioni si prendono altrove. Peccato che le decisioni che si prendono non appaiono minimamente all’altezza del momento storico.
A volte anche i direttivi del PD del mio paese – anche a quelli partecipo – mi danno sensazioni simili. Il ragazzo in arancione dice a Bersani “questo è un partito dove non si vota mai, non votiamo mai”. In effetti, anche al direttivo cittadino non ricordo una votazione che sia una. E se non ci si confronta/scontra fra posizioni diverse e non si vota, alla fine le differenze (quando ce ne sono, e ce ne sono sempre) rischiano di venir fuori nella maniera scomposta dell’Assemblea Nazionale di ieri. E, com’è ovvio, quando questo capita non fa bene a nessuno.
Aggiornamento (a proposito di prossemica): segnalo (qui, minuto 0.50) Paolo Cosseddu che urla “Tornate sulla terra, siete alieni!”; e, al minuto 1.50, l’anziano signore sullo sfondo che, mentre Scalfarotto con entusiasmo descrive l’ineluttabilità della marcia dei diritti gay (qui il suo meditato giudizio sui fatti di ieri), si versa un po’ d’acqua per mandar giù una pillola.
Il Sindaco che giocava su Facebook
Puntuale e atteso arriva, con il disgelo, il comunicato polemico del più estroverso, intraprendente e presenzialista politico locale – l’ex leghista Enzo Marangoni – sui disagi legati alla neve e al ghiaccio e sulle presunte inadempienze e incapacità dell’Amministrazione Comunale di Recanati nell’affrontarli.
E’ vero che dopo una partenza che ha stupito tutti per la qualità e la quantità degli interventi, il piano neve ha fatto fatica a reggere l’uno-due delle tormente abbattutesi sulla città nelle notti di sabato e di domenica scorsi, e tutti i recanatesi si sono accorti di un affanno che ancora dura. Ma lascio al dibattito fra i diretti interessati la definizione dei meriti e degli errori, non è quello che qui mi interessa.
Quello che a me preme sottolineare è solo un piccolo particolare del comunicato suddetto, dove ad un certo punto, dopo un lungo elenco di tutti i disagi sopportati dalla popolazione in questi giorni, ci si chiede “dove stava il Sindaco in questa situazione? Giocava su facebook?”.
Ecco, fate polemica su quello che vi pare, però non prendetevela così con i social network, solo per titillare l’ignoranza di qualche elettore vittima del digital divide! In questi giorni la pagina facebook dell’Amministrazione Comunale di Recanati è stata uno strumento veloce e utilissimo per avere le notizie in tempo reale, per comunicare esigenze e urgenze, e magari anche per farsi forza e compagnia in una comunità virtuale che comprende direttamente più di mille famiglie (ma chi conosce la realtà dei social network sa che poi la diffusione delle notizie è molto più capillare, anche fra i non iscritti). Il Sindaco e i suoi collaboratori hanno usato questo mezzo con intelligenza e sobrietà, e anche con tanta pazienza: gliene dovremmo essere grati. Molti, è vero, usano Facebook (anche) per giocare, ma non era certo il loro caso.
Aggiornamento: non contento, l’ineffabile di cui sopra rincara la dose, prendendosela – nientemeno – con l'”assessore a Facebook”. Nel 2012. Mah.