Il 22 novembre dello scorso anno ho scritto una mail al Segretario del Circolo del PD di Recanati, per annunciargli le mie dimissioni dal direttivo cittadino e la decisione di non rinnovare la tessera. Avevo rimandato a lungo – per senso del dovere, per non ammettere un errore di valutazione, per amicizia, anche – ma non ce la facevo proprio più, e le prospettive per il futuro, prossimo e lontano, erano se possibile anche peggiori, quindi gli scrissi queste cose (ho tagliato le parti meno interessanti, più contingenti):
Caro Segretario,
ti scrivo per comunicarti che ho deciso di dimettermi dal Direttivo del PD di Recanati, di cui sei coordinatore. È stata una scelta dolorosa, frutto della riflessione personale di molti mesi e di cui non ho voluto finora parlare con nessuno.
In questi mesi, dopo le feste dell’Unità provinciale e comunale di settembre […] non mi sono fatto più vedere. E’ stato non solo per i nuovi impegni lavorativi, che pure c’erano, ma per una precisa scelta politica, dovuta al disagio nei confronti della nuova fase politica del PD, a tutti i livelli, da quello nazionale a quello locale. Ho infatti un giudizio del tutto negativo del governo e della cultura politica di chi guida il PD in questo momento, e non vedo in tutta onestà margini perché questo possa tornare ad essere un partito dove possa avere casa, magari insieme ad altre culture politiche, una sinistra che metta al primo posto la solidarietà, l’equità, la laicità: i valori che da sempre considero punti fermi della mia vita politica e non solo.
Gli elementi di dissenso sono molti, vengono da lontano, e non ho mai mancato di segnalarli; non è questo il luogo per una disamina dettagliata della deriva di questo Partito Democratico negli ultimi anni, dalle scelte di governo alle prospettive culturali e ideali. Mi limito a segnalare, a titolo di esempio, […] la scellerata – scellerata – politica del governo in carica sul lavoro e sulla scuola, indegne davvero, l’una e l’altra, di una tradizione che del rispetto della cultura e del lavoro aveva sempre fatto un punto qualificante. […]
Ma al di là dei casi singoli, quello che davvero mi preoccupa, e su cui voglio dire due parole, è l’impressione, sempre più chiara, che il Partito Democratico abbia rinunciato persino a cercare di costruire un’idea alternativa del futuro dell’Italia: in assenza di una cultura politica degna di questo nome, in assenza di una prospettiva, il Partito Democratico ha preso atto che non può far altro che accettare l’ideologia dominante di un mondo del tutto succube dell’economia e della finanza, e proporsi semplicemente come il più adatto a governare questo mondo, il più bravo ad amministrare l’esistente. Se è così, non mi interessa, perché è un progetto perdente. A fare i galoppini dei finanzieri saranno sempre più bravi quelli di destra! […]
Sono cose che continuo a pensare, anche se a dire il vero sull’ultima frase ho – ormai – qualche serio dubbio: anche il PD, in effetti, mi sembra francamente diventato bravissimo. Comunque.
Si parva licet, per qualche anno, a Recanati avevo svolto dentro il Partito Democratico più o meno le stesse funzioni di Pippo Civati a livello nazionale. Diverse a seconda delle fasi: coscienza critica, rompiscatole, minoranza della minoranza, organizzatore di eventi un po’ snob ma pieni di belle idee, collettore di energie diffuse più sul web che nella vita reale, eccetera; il tutto con una costante: non contare praticamente un cazzo nell’effettiva vita politica del partito. A controprova: la totale indifferenza del partito per l’una e l’altra uscita, sempre si parva licet.
Dell’avventura che mi ha legato a Civati (da lontanissimo, visto che non ci siamo di fatto mai conosciuti direttamente) ricordo soprattutto un incontro che ho fatto, con una amica, in un paese qui vicino per sostenere la sua candidatura alle primarie: non conoscevamo nessuno, la candidatura di Renzi era supportata da un giovane politico di successo (attuale sindaco di quel paese, non a caso); pensavamo, insomma, di andare a prendere solo scoppole. Invece, pensa un po’, fu un piccolo trionfo: le idee e le parole di questi outsider (il giovane politico lombardo intelligente, telegenico e dalla battuta facile; l’oscuro professorino impacciato prestato per un attimo alla politica…) strapparono una manciata abbondante di voti fra i militanti storici di quel paesino lì. E’ stato, mi dico col senno di poi, forse il più grande successo della mia non-carriera politica: convincere quella dozzina di persone lì a votare Civati. Il che è tutto dire sulla mia carriera politica, peraltro.
Poi, dicevo, io sono uscito, a novembre. Contribuirono alla scelta anche le tristi sorti del movimento “civatiano” che vedevo frantumarsi intorno a me, confuso e disorientato. Il progetto nato con le primarie era andato a farsi friggere, e Civati sembrava non meno confuso e disorientato dei suoi sostenitori. Naturalmente mi aspettavo che anche lui se ne andasse, da un momento all’altro, ma a quel punto non sapevo più nemmeno tanto bene se mi interessava o no, non sapevo cosa sperare, né cosa aspettarmi, fuori da quella roba per me ormai incomprensibile e indigeribile che stava diventando il Partito Democratico.
Adesso che, 164 giorni dopo, pure Civati è uscito, mi chiedo cosa farà, cosa farò, e se da qualche parte nascerà un progetto politico in cui possa ancora riconoscermi. Per ora non vedo nulla di buono, fra deriva nazional-populista di Renzi, un mondo della sinistra imbarazzante per frammentazione e mancanza di proposte realmente progressive, movimentismi confusi e aggressivi. Vedo in questo paese un deficit enorme di cultura politica, e di cultura tout court. Il panorama mi appare scuro – le lanterne, o anche solo i lumini, tutti spenti. Dal balcone di casa, la sera, vedo che son tornate le lucciole di Pasolini, ma il messaggio che mi mandano col loro alfabeto morse è indecifrabile.