Girano alcuni video relativi ai momenti caldi dell’Assemblea Nazionale del Partito Democratico di ieri (intitolata “Dalla parte dell’Italia, con responsabilità e fiducia”), dove alcuni ordini del giorno presentati da minoranze interne non sono stati ammessi a votazione, sono stati “preclusi”, apparentemente senza giustificazione. Guardateli, soprattutto questo, soprattutto la parte in cui un ragazzo con la maglietta arancione parla con Bersani. Sono desolanti e istruttivi.
Desolanti perché mostrano – “plasticamente”, come si dice in questi casi – che il Partito Democratico, che in teoria dovrebbe essere il più importante strumento a disposizione dell’Italia per uscire dalla crisi, in realtà non trova nemmeno gli strumenti per affrontare democraticamente le sue eclatanti divisioni e indecisioni interne. Indecisioni peraltro a volte gravissime e inaccettabili in un partito che voglia essere (anche moderatamente) di sinistra (sempre che lo voglia, e qualcuno è certo che non sia più così), come nel caso dei diritti civili.
Istruttivi perché fanno capire, con la prossemica, gli sguardi, i toni di voce, che nella classe dirigente di questo partito non c’è nessun minimo comun denominatore, non c’è stima e rispetto reciproco: Bersani che, stancamente e senza crederci neanche più, cerca di far tornare in riga il giovane con la polo arancione, in nome di un presunto buon senso moderato (“ma perché ogni volta che facciamo un passettino…”), Ignazio Marino che urla “voto voto” e si guarda intorno in cerca di improbabili puntelli, Stumpo che si china sulle spalle del segretario suggerendo chissà cosa (Stumpo, personaggio misterioso: è responsabile dell’organizzazione del PD ma sulla rete, di lui, si trova pochissimo: chi è? che storia ha? chi l’ha messo lì? per quali meriti?), Rosy Bindi che perentoria rassicura la stampa: “non c’è nessunissimo problema”. E poi il buttafuori dalla faccia truce e intontita che impedisce con la forza al giornalista di continuare a riprendere il j’accuse dell’uomo in polo arancione verso il segretario del suo partito…
Ho rivisto più volte i video, osservato quei volti e quelle parole, quei gesti, e ogni volta che li vedevo li trovavo più familiari, poi ho capito: quell’assemblea era identica ai collegi docenti della mia scuola: stessa tensione frustrata di pochi, stessa mancanza di leadership, stessa apatia di una maggioranza disinteressata alla discussione, stessa indifferenza per il rispetto delle procedure democratiche. Il motivo di questa somiglianza è semplice: in entrambi i casi si tratta di strumenti assembleari puramente formali, vissuti con indifferenza e dispetto da chi conta davvero, perché tanto le decisioni si prendono altrove. Peccato che le decisioni che si prendono non appaiono minimamente all’altezza del momento storico.

A volte anche i direttivi del PD del mio paese – anche a quelli partecipo – mi danno sensazioni simili. Il ragazzo in arancione dice a Bersani “questo è un partito dove non si vota mai, non votiamo mai”. In effetti, anche al direttivo cittadino non ricordo una votazione che sia una. E se non ci si confronta/scontra fra posizioni diverse e non si vota, alla fine le differenze (quando ce ne sono, e ce ne sono sempre) rischiano di venir fuori nella maniera scomposta dell’Assemblea Nazionale di ieri. E, com’è ovvio, quando questo capita non fa bene a nessuno.
Aggiornamento (a proposito di prossemica): segnalo (qui, minuto 0.50) Paolo Cosseddu che urla “Tornate sulla terra, siete alieni!”; e, al minuto 1.50, l’anziano signore sullo sfondo che, mentre Scalfarotto con entusiasmo descrive l’ineluttabilità della marcia dei diritti gay (qui il suo meditato giudizio sui fatti di ieri), si versa un po’ d’acqua per mandar giù una pillola.