Utopie con la v

Da mercoledì a sabato, a Macerata, c’è questo festival di teatro contemporaneo indipendente che si chiama Utovie, con la v. C’è dentro tantissima roba, probabilmente tutta bellissima, di certo nuova e rara per Macerata. Non sarà un festival teatrale normale, infatti niente si svolge dentro un teatro, ma in vari luoghi della città, spesso aperti, spesso strani. Utovie è alla prima edizione, ed è obbligatorio che parta col piede giusto, quindi andateci in tanti, andateci tutti, voi là fuori.  Ci si vede lì.

Qui il sito, con il programma e tutto quanto.

utovie

Istantanee

Sono le foto (grazie, Giovanni Di Girolamo, per averle scattate) delle prove dello spettacolo Gerusalemme liberata. Frammenti da una storia di guerra e d’amore, che andrà in scena nel cortile di Palazzo Buonaccorsi sabato prossimo, 14 maggio, a partire dalle 20.30.

Altre info qui e qui

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Arditti

In vita mia non ero mai stato, credo, ad un concerto di musica colta contemporanea. L’ho fatto, credo per la prima volta, questa settimana, perché a Macerata c’era una importante rassegna e un amico mi ha invitato, allora lunedì siamo andati: suonava un quartetto d’archi che pare sia uno dei migliori al mondo nel suo genere, l’Arditti Quartet (un inglese, un tedesco, un brasiliano e un barbutissimo armeno). Erano previste musiche di Ligeti, Scodanibbio e Donatoni: tutto arabo, per me. Confesso che temevo soprattutto la durata (che poi si è rivelata accettabile).

L’esperienza, invece, è stata inaspettatamente piacevole, e istruttiva. Alcuni spunti sparsi. In primo luogo, la partecipazione dal vivo è fondamentale: dico partecipazione perché ci si sente protagonisti, in qualche modo, coinvolti nell’attesa e nella fatica della produzione di quei suoni strani (il primo pezzo, ad esempio, cominciava come un canto di uccellini un po’ spaesati), spesso inaspettati e dissonanti. C’è poi, per certi versi, la sensazione che non sia così incomprensibile, questa musica, anzi: quasi mi è parsa più fruibile di quella classica-classica, per uno che di musica non ci capisce un acca come me. Ma la cosa in assoluto più bella è osservare la pratica dell’esecuzione: intuisci quanto possa essere difficile tirare fuori questi suoni da quegli strumenti, e quanta concentrazione, quanta disciplina, quanta capacità di ascolto degli altri ci possa volere per farlo, e farlo perfettamente come dev’essere.

A differenza del jazz, dove quel che conta è l’improvvisazione, qui è tutto minuziosamente scritto in quelle gigantesche partiture che i quattro tenevano davanti e giravano in fretta al momento giusto, e anche quando tutto sembra un affastellarsi casuale di suoni e rumori invece ogni effetto – mi son detto – deve star lì, annotato da qualche parte, e certamente richiede una precisa precisissima tecnica esecutiva, frutto di anni di fatica e di disciplina. E’ come se l’autore prima e gli interpreti poi lavorassero di cesello contro il caos del mondo: quell’apparente confusione è costruita, pensata, controllata dall’uomo.

Questo insomma più o meno pensavo: qui ogni nota è al suo posto, ogni strumento fa il suo dovere di concerto con gli altri: l’uomo ha scritto e l’uomo interpreta: per questi minuti che dura l’esecuzione, nel silenzio teso del teatro, è l’uomo con la sua arte ad essere padrone del campo, facendo il verso all’entropia che c’è fuori e della quale ritorneremo tutti vittime fra poco.

Un bel pensiero da portarsi a casa, la prima volta che vai ad un concerto di musica contemporanea.

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Questo è il pezzo di Ligeti interpretato lunedì scorso dal quartetto Arditti a Macerata:

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Casualmente, sempre in questi giorni, ma in tutt’altro contesto, ho scoperto quest’altra opera di Ligeti, per violoncello solo, che m’è parsa di una bellezza stupefacente e allora la metto qui come bonus track:

Un Fenoglio a Villa Ficana

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Il 26 aprile, sul far della sera, a Villa Ficana, un luogo per molti versi unico incastonato fra i palazzi della periferia nord di Macerata, nei pressi della chiesa di Santa Croce, succederà qualcosa di strano, e di bello. I personaggi di Una questione privata di Beppe Fenoglio (il più bel romanzo sulla Resistenza, proprio l’altro giorno messo in vendita dal Corriere della sera al prezzo di un cappuccino) prenderanno vita nei corpi, nelle voci e nei volti dei ragazzi e delle ragazze del Liceo “Galilei” di Macerata.

Fulvia, col suo vestito svolazzante e l’aria di chi la sa lunga, correrà fra i vicoli, quasi danzando sulle note di Over the rainbow, inseguita da Milton, sempre più angosciato e sempre più innamorato; tutt’intorno partigiani, contadine, ragazze e bambini a fare i conti con la tragedia della guerra; e, minacciose ad ogni angolo, le ombre dei neri, dei repubblichini, dei nazifascisti pronti a colpire coloro che avevano saputo per tempo capire quale fosse la parte giusta dove stare. Ma per i partigiani quell’ultimo inverno sarebbe stato anche il più difficile da passare. Un inverno interminabile come la quête di un amore assoluto e impossibile, affannoso come una lunga corsa fatta di incontri, sogni, duelli, epifanie e tragedie; una corsa all’ultimo respiro.

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Presto, qui e altrove, informazione più dettagliate.

Igor Mitoraj (1944-2014)

Oggi è morto Igor Mitoraj. Per me è soprattutto l’autore delle opere di inquietante bellezza – frammenti di enormi statue deflagrate – che vedevo da studente, nel 1995, in giro per Macerata. Mi ricordo in particolare questa, sopra la rotonda dei Giardini Diaz, con questi occhi ciechi e l’espressione assorta. Guardandola, e leggendo il nome dell’autore che suonava slavo, pensavo alle bombe che ancora cadevano di là dell’Adriatico e insieme al mito, alla bellezza classica di cui mi nutrivo a lezione. E cercavo una difficile sintesi, che infatti non veniva.

In realtà, non sono tante le immagini di quegli anni che porto impresse nella memoria, ma questa sì, posso metterla agli atti.

(L’unica cosa strana è che nel mio ricordo questa scultura era bianca!)