Piccolo apologo estemporaneo, anche a mo’ di anticipazione di una cosa imminente.
Passeggiavo per Macerata. Mi fermo a guardare la vetrina della mia libreria, e noto un paio di libri di poesie, che come in quella collana famosa di Einaudi (ma questi non sono Einaudi) hanno in copertina una delle poesie della raccolta: ottima cosa, la poesia non può pubblicizzarsi che con la poesia, o col silenzio. Leggo allora le poesie in copertina, sono di Ennio Cavalli entrambe, e mi piacciono entrambe, la prima è questa:
Superlativo di adesso è mai più.
Di acceso, arso vivo.
Più che vicino significa dentro, oppure
denso, fiato, fede.
Al culmine dell’allegria, il disinnesco.
Superlativo di inoltre è un bel nulla,
ovvia ripezione o viceversa.
Se guardi le parole in controluce
qualcuna è vera.
Non che me la sia imparata a memoria, ho barato: mi sono fotografato quella vetrina con il cellulare. Ho preso appunti, insomma, alla maniera veloce di oggi. Dicevo però che le poesie erano due, la seconda è rimasta fuori dal campo della videocamera dell’aggeggio, e mi ricordavo solo i primi versi, qualcosa come “Alla fine è andato a male / pure il rosmarino”, e l’ultima parola, forse… mi pare che fosse “traditori”.
Volevo ritrovarla, rileggerla, e così ho fatto una ricerchina sul web; pare però che non si trovi (o non sia immediato, facile, trovare) né il testo né una riproduzione fotografica sufficientemente nitida della copertina del libro (che ha, fra l’altro, un bellissimo titolo: Trattativa con l’ombra): il massimo che ho trovato nei tre minuti che ho dedicato alla ricerca è stato questo:
Pixel sgranati e indecifrabili, inutili a meno che non si conosca già il testo a memoria, o quasi.
Ma non ho cercato oltre, il messaggio che con questa assenza, con questo suo ricoverarsi nell’ombra, la poesia voleva mandarmi, era già sufficientemente chiaro: appena esco di qui, vado a comprarmi il libro e vedo cosa ci si nasconde dentro.