C’è questa frase di Samuel Beckett che ho sempre trovato straordinaria, tragica e assurda ma piena di verità essenziali, come sempre è, a pensarci, la scrittura di Beckett. La frase fa così: “Ho sempre tentato. Ho sempre fallito. Non discutere. Fallisci ancora. Fallisci meglio”. O qualcosa del genere.
Non credo che si siano ispirati a Beckett i tanti pervicaci propugnatori del Sì al referendum che in questi giorni stanno ancor più pervicacemente dimostrando come si può non solo fallire bene, e completamente, ma reagire alla sconfitta in maniera tale da renderla ancora più radicale, più irrimediabile e completa.
Non parlo tanto della senatrice che ha pensato bene di dare, nella sostanza, del decerebrato a ciascuno dei circa 19 milioni di elettori che, in Italia, hanno votato no, dicendo che chi aveva cervello era fuggito all’estero (perché è oltreconfine che oggi, si sa, il sì suona).
E non parlo nemmeno di Renzi, che aveva già pronto in canna chissà da quando il discorsetto finto-orgoglioso e finto-patetico della sconfitta, bignamino/fotocopia di quello del 2012, dopo la sconfitta alle primarie. Un discorso che ha abbindolato più d’uno, ma che non è nient’altro che la cosa più conveniente e astuta che gli convenisse fare. Altro che generosità, altro che nobiltà, altro che Agnese: solo la mossa di un volpacchiotto, la difesa di un giocatore di scacchi.
Quello che è davvero fallimentare è la linea ufficiale degli sconfitti, declamata in tutte le salse in questi giorni, dalle altissime sfere a quel mio contatto (renziano) che così riassume “In Italia ci sono più di 13 mln di cittadini che condividono un progetto e più di 19 mln che condividono solo un No. Io sto tra i primi, non male per ripartire”. Se scriveranno un manuale su come raccontarsela, evitando l’analisi, dopo una sconfitta elettorale, l’epigrafe è già pronta.
Questo approccio, da finocchiona sugli occhi, mi pare autoassolutorio e foriero di nuove inevitabili sventure politico-elettorali. Anche perché, ragionando così, questi legittimano l’impressione che abbiano usata la nostra Carta Costituzionale (una cosina francamente un po’ più preziosa delle loro trascurabili ansie da prestazione politiche) per “contarsi”; cosa che – se fosse vera – sarebbe terribile e davvero imperdonabile.
A me piacerebbe invece pensare che l’onestà intellettuale e l’umiltà di riconoscere gli errori siano delle qualità universali e che, alla lunga, anche in politica possano pagare di più della protervia e dell’arroganza. Persino in Italia. Ma forse anche questo è solo un altro modo per raccontarsela. Il mio.