Il dibattito un po’ lunare su Don Milani di questi giorni (a proposito del quale sto con Vanessa Roghi) sta permettendo a molti di capire, mi pare, che la linea sull’insegnamento dell’italiano, sulla scuola italiana e sul futuro della cultura occidentale non può darcela (più) (soltanto) una colta signora della buona borghesia torinese che si vanta di non aver mai letto un libro di psicologia e pedagogia e che scrive libri dedicati alla scuola fondandoli sulle sue impressioni personali, su quel piccolo pezzo di mondo, e di Italia, e di scuola, che può vedere e capire, appunto, una colta signora della buona borghesia torinese che insegna ai figli della buona borghesia torinese. Passerò per classista, veteromarxista, donmilanista o chissà che altro, ma via, basta: c’è un sacco di gente che ha idee meno impressionistiche e meno nostalgiche sulla scuola, cerchiamo di essere meno pigri e andiamole a cercare.
(E’ solo un appunto per una riflessione più ampia, da non rimandare troppo, sull’insegnamento dell’italiano e sulla scuola, intanto possiamo partire da questo link)
Propongo il contrappeso di questa mia modesta riflessione
https://paolomazzocchini.wordpress.com/2017/05/31/donmilanismi/
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Caro Paolo, ti ringrazio per il contributo. Da quello che scrivi mi pare che venga fuori una cosa abbastanza chiara, o che almeno a me era già abbastanza chiara: il mastrocolismo (e la Mastrocola) e il donmilanismo (ma non Don Milani, che come implicitamente dici tu, va contestualizzato e non usato per slogan, e mi pare la Roghi che cito lo faccia) sono funzionali alla stessa battaglia per la riduzione della scuola a strumento di perpetuazione del sistema attualmente dominante (voglio dire: il donmilanismo come feticcio inventato dalla Mastrocola e dal Sole24Ore). E’ infatti abbastanza ovvio che di Don Milani non vadano ripresi né gli slogan, né le ricette pedagogiche, né i giudizi contingenti, ma lo spirito di fondo, quello che voleva che la scuola fosse strumento di democrazia emancipazione e cambiamento (se il tuo liceo dell’epoca lo era, son felice per te, non dappertutto credo fosse così, non dappertutto è oggi così). Poi don Milani a Barbiana pretendeva che si lavorasse duro, molto duro, non era certo un lassista. E poi, non sono tanto esperto da poterlo affermare con certezza, ma ho sempre pensato che vada presa sul serio la circostanza per cui la lettera non è firmata da lui ma dalla scuola: non sono sicuro che lui condivida tutto quello che è scritto lì dentro, ma sono sicuro che sia quello che è venuto fuori dal lavoro fatto insieme ai ragazzi. E che i ragazzi ce l’avessero con la lingua di Parini e Foscolo ci sta; però credo anche che il loro priore sarebbe stato disposto a ripartire da lì per provare a capire come ridare senso anche a Parini e Foscolo… Non so, sono appunti presi un po’ di fretta mentre faccio i conti con la burocrazia di fine anno, ma riparliamone…
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Caro Gabriele, sono sicuramente d’accordo nel riconoscere che Don Milani, se potesse intervenire oggi, aggiornerebbe parecchio il suo pensiero sulla scuola e sulla pedagogia, starebbe più dalla parte dei prof (oltre che dei loro alunni) che da quella del ministero e delle sue riforme, ma sta di fatto che le persone passano, ma quello che scrivono resta e può contribuire al dibattito di oggi soprattutto attraverso la voce degli interpreti. È chiaro e ovvio che da parte di questi ultimi ci debba essere lo sforzo di storicizzare e non tradire quel pensiero, ma è anche vero che quanto più un pensiero è autenticamente profetico tanto meglio -credo- si sottrae nel tempo a facili tradimenti e strumentalizzazioni. Don Milani, bisogna riconoscerlo, ha parlato soprattutto per i suoi tempi. Grazie per questo piccolo scambio di opinioni.
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