Tre amici a Parigi. Serge, Marc, Yvan. Serge è un dermatologo di successo, reduce da un matrimonio finito male. Marc è un ingegnere sarcastico e collerico, sicuro di sé e del suo rapporto con Paula. Yvan è un commesso di cartoleria nevrotico e fragile, che sta per sposarsi con Catherine, molto più giovane di lui, e anche per questo è divorato da ansie, paure, insicurezze. Serge da un po’ di tempo ha scoperto l’arte contemporanea e ha comprato per una cifra esagerata un quadro completamente bianco che mostra entusiasta ai due suoi amici Marc e Yvan, in cerca di approvazione. Marc, ancorato ad un’idea saldamente tradizionalista dell’arte, bolla la tela come “una merda bianca”. Yvan, che più che all’arte tiene alla sua amicizia con Serge e Marc, cerca più che altro di mediare fra i due. La situazione però precipita: il conflitto fra Serge e Marc si rivela essere il precipitato di un rapporto squilibrato, basato sulla dinamica mentore-allievo: per Marc l’adorazione di Serge verso di lui era la prova della sua superiorità intellettuale, e ora che ha perso il suo ruolo di maestro e guida si sente tradito, inutile; Serge a sua volta cerca nel collezionismo d’arte la sua autonomia, la sua indipendenza da Marc, e il suo posto nel mondo della ricca borghesia parigina. Yvan, penosamente incerto, capisce che sta perdendo il suo ruolo in questo strano mènage a trois e teme, più in generale, la fine di questo legame d’amicizia. E’ disperato. Si aggiungono le tensioni legate ai rapporti dei tre con l’altro sesso, in un tutti contro tutti per cui Marc e Serge deprecano l’imminente matrimonio di Yvan, Serge dichiara di disprezzare Paula, la donna di Marc, e a sua volta prende atto che i due amici lo considerano un fallito per via del suo divorzio. Quello che sto descrivendo è l’intreccio di Art, una commedia in cui si ride tantissimo: non si direbbe, eh?
Il meccanismo della pièce è molto simile a quello di un’altra famosa opera di Yasmina Reza, Le Dieu du carnage, che conosco nella versione cinematografica di Roman Polanski. Anche lì un episodio apparentemente banale, innocuo, scatena una selvaggia e inesorabile resa dei conti che va al di là e al di fuori delle regole della convivenza civile, delle convenzioni borghesi. Ma se nel carnage il conflitto fra due coppie di estranei risulta drammaticamente insanabile, in Art il tutto si risolve in commedia, con i tre amici che nonostante il conflitto, o forse proprio grazie ad esso, si ritrovano di nuovo vicini, con più consapevolezza.
Yvan, Marc e Serge non hanno un’età precisa: nell’allestimento che ho visto io Yvan è uno strepitoso Alessandro Haber (65 anni), Marc un bravo Gigio Alberti (56) e Serge un Alessio Boni (46: “Cioè, Alessio Boni ha quarantasei anni? cioè, ha sei anni più di me e ne dimostra venti di meno? Cioè.”) bello e efficace, ma che come al solito non mi ha convinto fino in fondo (ma è un problema mio: credo abbia a che fare con il fatto che Boni è troppo bello). I tre sono – da copione – amici da 15 anni, Serge ha un figlio ed è divorziato, Yvan si sta per sposare. Probabilmente Haber e Alberti sono un po’ vecchi per la parte, ma insomma: diciamo che i tre personaggi possono avere fra i quaranta e i cinquanta. Non suonerà strano, dunque, che io abbia trovato molto interessante, e vicina alla mia esperienza di neo-quarantenne, la descrizione delle dinamiche di questa amicizia intellettuale fra uomini adulti.
Solidarietà, competizione, desiderio di stupire e di convincere, ribellione e assimilazione, maestri e discepoli, sacralizzazione dello “stare insieme” a prescindere da tutto, mediazioni nobili e mediazioni vigliacche, volontà di affermazione di sé e insicurezza, esaltazione, nostalgia, stanchezza. Ammirazione, invidia, rancore. Rabbia e amore. Variamente composti e amalgamati in un complesso variabile e misterioso, sono questi gli elementi che fanno nascere e morire le amicizie in ogni tempo e in ogni luogo, anche le mie. In fondo a tutta questa complessità, forse, c’è una doppia natura dell’amicizia, che da un lato è il luogo X in cui ci confrontiamo con gli altri per cercare di definire chi siamo, per “trovare noi stessi”, dall’altro è la strada Y, raramente percorsa, dell’apertura vera all’altro, curiosa e disinteressata. E verrebbe da chiedersi: forse partire dal luogo X per incamminarsi sulla strada Y è il segreto delle rare amicizie vere e durature? Chissà.
Yvan, in uno dei tanti momenti esilaranti di Art, legge un biglietto contenente un’affermazione apparentemente delirante con cui il suo psicoanalista ha commentato la sua relazione con Marc e Serge:
Se io sono io perché sono io, e tu sei tu perché sei tu, allora io sono io e tu sei tu. Ma se io sono io perché tu sei tu, e tu sei tu perché io sono io, allora io non sono io e tu non sei tu.
Com’è ovvio, non c’è niente di delirante. Anzi.
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ART, di Yasmina Reza, regia di Giampiero Solari, con Alessandro Haber, Gigio Alberti, Alessio Boni. Visto (con molta soddisfazione) il 28 gennaio 2012 al Teatro Persiani di Recanati.