Confessioni di Pier
Se poi la coda / Tornò di moda, / Ligio al Pontefice / E al mio Sovrano, / Alzai patiboli / Da buon cristiano.
La roba presa / Non fece ostacolo; / Ché col difendere / Corona e Chiesa, / Non resi mai / Quel che rubai.
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Parere
In questo secolo / vano e banchiere / che più dell’essere / conta il parere.
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Elogio della follia
In barba all’ebete/ servitorame / degli sgobboni / ciuchi e birboni; […] / a conti fatti, / beati i matti!
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Notizie dall’Iran
“Dal mio Stato felicissimo / (che per grazia dell’Altissimo / serbo nelle tenebre) / imporrò con un decreto / che chi puzza d’alfabeto / torni indietro subito: / e proseguano il viaggio, / purché paghino il pedaggio, / solamente gli asini.”
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La civiltà dei consumi
La spada è un’arme stanca, / scanna meglio la banca. // Pace a tutta la terra; / a chi non compra, guerra!
L’autore di questi versi è Beppe Giusti, giovane studente di Monsummano Terme, che ha scelto come sua cifra stilistica di travestire in stile ottocentesco le sue osservazioni sull’Italia e sul mondo di oggi. I critici, pur apprezzando la capacità di cogliere le contraddizioni del mondo presente, ritengono la sua scrittura troppo acerba, incapace ancora di sollevarsi dal mero dato di cronaca, e da una descrizione nuda dei fatti. In definitiva, gli viene contestato di fare una poesia valida solo in relazione alla condizione politica e sociale di questi anni, anzi di questi giorni, che certo non potrà essere compresa né tantomeno condivisa dalle generazioni che verranno.
(Le citazioni provengono da un saggio di Gino Tellini contenuto in questo libro)