Paolo Nori, Bassotuba non c’è

Non sono un gran lettore di letteratura italiana contemporanea. Di solito il mio problema con la letteratura italiana contemporanea è lo stile: quando mi trovo davanti i libri degli scrittori che vanno per la maggiore (quelli che vincono i premi, quelli che trovo esposti sui banchi della Feltrinelli, perché io poi non sono uno che frequenta più di tanto siti specializzati , o che compra riviste di settore) ho di solito un problema: mi sembrano tutti un po’ uguali, tutti con la stessa voce. E mi stanco. Mi sembra di leggere sempre lo stesso libro. O meglio: mi sembra di leggere libri di diversi autori stranieri tradotti in italiano dallo stesso traduttore. Perché provo questa sensazione? Io credo che dipenda dal fatto che ultimamente ci diano giù un po’ troppo di editing, le case editrici maggiori: ma non sono un esperto, quindi non so se questa sensazione può corrispondere a realtà.

Ogni tanto però capita che si incontri qualcuno che una voce sua ce l’ha. Che non è detto che sia una voce perfetta e cristallina, ma insomma è una voce. Piuttosto reale, sembra. Mi capita, quelle volte lì, come al protagonista del secondo episodio di Black Mirror prima serie, di cui parlavo ieri: in un mondo completamente falso un ragazzo sente, in un cesso, una ragazza che canticchia per coprire il rumore della pipì che cade nella tazza: una vecchia canzoncina canticchiata distrattamente, ma più vera di tutto il mondo di musiche che possono arrivare alle sue orecchie dal suo sofisticatissimo Ipod. Ma sto divagando.

Una voce vera, ogni tanto, mi pare di incontrarla, dicevo. Ecco: ultimamente mi piace la voce di Paolo Nori, che ho scoperto prima come giornalista, poi come blogger, poi come autore piuttosto geniale di “pubblici discorsi” (mi riferisco in particolare alla bellissima raccolta intitolata La meravigliosa utilità del filo a piombo) e infine per quello che è veramente: uno scrittore di romanzi.

Bassotuba non c’è è il racconto in prima persona di un frammento della vita di Learco Ferrari, alter ego nemmeno troppo nascosto di Paolo Nori stesso. Aspirante scrittore con in ballo qualche contratto, animatore saltuario della vita dei locali emiliani, magazziniere e traduttore part-time, Learco si divincola in una vita molto precaria, forte solo del suo carattere pieno di contraddizioni, che corrisponde poi esattamente alla sua voce, appunto.

Mentre Learco sta elaborando il lutto della fine di una storia (Bassotuba – al secolo Elena Chiodi – la sua ragazza, se n’è andata con un allievo di Vattimo), succedono fatti piccoli (un gruppo musicale si scioglie, si organizzano serate, si intessono faticosamente relazioni) e grandi (il padre di Learco – l’amato, silenzioso Renzo – che vive in campagna e coltiva le viti, scopre di essere gravemente malato) che non sempre hanno risoluzione narrativa, ma ci consentono di partecipare ad una vita che percorre la sua strada, una strada sconclusionata e contorta come tutte.

Non dico altro, perché essendo soprattutto come dicevo una questione di voce, l’unica è leggerlo. Ma magari l’avete già letto tutti, eh, perché è un libro di una quindicina d’anni fa e io arrivo sempre dopo amen.

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