Pubblico, con il suo consenso, la riflessione che un caro amico, Marco Riccini, voleva relegare in un commento ad un vecchio post d’argomento calviniano. Ma il testo meritava qualcosa di più, almeno un post tutto suo!
La ragione è ciò che ci accomuna, il massimo comune denominatore delle menti e personalità umane; 2+2 fa sempre 4, a tutte le latitudini, nonostante tutti i pregiudizi del mondo. L’illuminismo, insistendo sul valore della ragione, sottolinea i tratti di comune umanità, ci dice che in quanto uomini siamo uguali, rifiuta l’idea di nazione (un insieme basato su presupposti inconsistenti), abbraccia l’ideale cosmopolita.
Il sentimento è ciò che ci distingue; di fronte al medesimo spettacolo, qualcuno può avvertire un moto di riprovazione, altri di attrazione, altri di sottile compiacimento, altri di sconcerto. Il romanticismo, insistendo sul valore del sentimento, sottolinea l’importanza dell’individualità (possibilmente creatrice), singolare e collettiva: la patria è una anche “di cuor”, come insegna Manzoni; dicendoci che in quanto uomini (e gruppi di uomini) siamo diversi fra di noi, il romanticismo esalta l’idea di individuo (e di nazione).
Cosimo Piovasco di Rondò è un illuminista, anticonformista: sembra rifiutare l’idea che l’uguaglianza debba portare all’omologazione, alla rinuncia a se stessi e alla propria identità; compie un gesto (molti gesti) dirompenti, apparentemente illogici, in realtà sempre compiutamente razionali e dominati dall’idea di fare il bene proprio e degli altri, senza rinunciare ad affermare la propria individualità con le proprie azioni, che forse è un modo di dire “libertà”.
Il Barone rampante esce nel 1957, scritto, a quanto pare, tra dicembre ’56 e primi del ’57. Nel 1956 c’era stata la repressione sovietica a Budapest, dove il grigiore dell’omologazione comunista (lontana ed estrema erede dell’illuminismo?) aveva negato la possibilità di fare qualcosa di diverso, aveva fatto capire agli ungheresi di non poter sopportare il loro desiderio di libertà.
(di Marco Riccini)