Lo confesso, non ho avuto ancora il coraggio di andare a visitare i luoghi del terremoto, quelli in cui la devastazione è stata più forte. Non ho avuto modo di farlo per portare aiuto, e andarci solo per vedere mi avrebbe dato un’intollerabile sensazione di voyerismo. Aspetto ancora l’occasione giusta per riprendere un contatto.
Confesso anche di non aver indugiato troppo sulle immagini di distruzione diffuse a quintalate in ogni dove. Ho sempre preferito affidarmi a chi per raccontare usava la parola scritta.
Però sapevo che la distruzione c’era, e era intollerabilmente visibile. E sapevo che prima o poi mi avrebbe colpito allo stomaco. Non sapevo che sarebbe successo a Siena, durante una visita alla cripta del Duomo; non sapevo che lì, nella stanza più profonda della cripta, avrei trovato alcuni frammenti provenienti dalle macerie di due fra le più belle chiese che mi sia capitato di visitare sui Sibillini negli ultimi anni: quella dell’Abbazia di Sant’Eutizio e quella di Campi, sotto Preci.
Questa è la foto che accompagnava l’esposizione di alcuni frammenti provenienti da uno dei due rosoni della chiesa di Campi:
Questo, invece, è quel che resta del crocefisso della chiesa abbaziale di Sant’Eutizio, opera quattrocentesca di Nicola di Ulisse da Siena.