Ho amato molto Calvino, forse più quando parla di letteratura che quando fa letteratura, e probabilmente anch’io, come molti, in passato, ho fatto un po’ l’errore di considerarlo anche un critico letterario. Però credo di avere sempre avuto chiaro che era un critico molto particolare, che quando parlava dei classici prendeva così sul serio il suo famoso apoftegma (“i classici sono quei libri che non hanno finito mai di dire quel che hanno da dire”) da usarli per parlare più di sé stesso e del suo tempo che non del classico in questione, e del suo più lontano e perduto tempo. Non era mai, insomma, quella di Calvino, una operazione di storicizzazione, ma una operazione militante e creativa: ti proponeva la sua idea del mondo, della scrittura, del futuro. Bene. E’ un’operazione legittima e utilissima (forse più di tanta critica, di tanta storicizzazione intesa in senso stretto), basta prenderla per quel che è.
Mi ha fatto ripensare a queste cose un articolo di Stefano Jossa, grande critico e storico della letteratura italiana di stanza a Londra, uscito qualche giorno fa che partendo da una riflessione su Ariosto a Calvino finisce per trattare un argomento di portata molto più generale: l’importanza e la difficoltà di dialogare davvero con i classici, sapendo riconoscere i filtri e le scorciatoie per quello che sono. Un discorso sul metodo assolutamente limpido e impeccabile a cui un titolo forse troppo lapidario non rende giustizia. Ne consiglio vivamente la lettura.
È molto bello, e non insulta Calvino (cosa che temevo, sic!). Da sempre perfetta ignorante mi vien da die che, al di là di tutto quanto magnificamente citato e spiegato nell’articolo, c’è un solo modo di leggere per me, anche le cose difficili. Con lo sguardo aperto e in paragone all’esperienza della vita propria, ma lasciando anche andare i pensieri e il cuore dentro quelle avventure che incontri nelle storie e nelle parole. Approccio forse poco colto, ma il mio. Inoltre direi che le letture cambiano, perché il mondo cambia e l’uomo cambia. Il punto su cui mi sento di rimanere ferma è che sempre, sempre ci si ritrova il “cuore” (in senso ontologico) nei classici, questo certo. È un amore che ritorna…per dire io mi sono riletta Iliade e Odissea insieme a miei figli liceali, trovando ancora nuove cose e nuovi percorsi, notando fra l’altro che la lettura suggerita dai loro prof. é molto diversa da quelli che ebbi io.
E niente, farnetico, al solito.
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Nono, dici cose molto sagge, invece. Grazie, ancora.
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A te.
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