Antefatto: ho lavorato per alcuni anni all’Istituto Storico della Resistenza e dell’Età Contemporanea di Macerata, cercando di portare nelle scuole e nella città i temi della Costituzione e dell’antifascismo. Quest’anno non ci lavoro più, e fin qui niente di male; il male è che non ci lavora nessuno al posto mio: l’Ufficio Scolastico ha deciso che non valeva la pena di investire risorse umane in un presidio di educazione alla cittadinanza attiva (“del resto – avranno pensato – nella tranquilla Macerata, non c’è mica un problema di fascismo e di rigurgiti antidemocratici, diamine! Parliamo di Ma-Ce-Ra-Ta, mica di Predappio!” – il seguito prova che aveva torto (cit.)). Nonostante questo l’Istituto continua a funzionare, col volontariato, e con i pochi soldi di sempre più precarie convenzioni e le tessere dei pochi, troppo pochi iscritti. E soprattutto grazie all’impegno di Paolo, il presidente, che investe su questo progetto tutte le sue energie, la sua intelligenza, la sua capacità organizzativa. Da ultimo, ha organizzato, quasi da solo, un evento, previsto per il prossimo sabato 21 aprile (ore 17, Sala Castiglioni della biblioteca Mozzi-Borgetti), che fa parte della campagna di tesseramento e che prevede una discussione pubblica e aperta – proprio con il microfono aperto al contributo di tutti – sui temi dell’antifascismo. Antifascismo. A Macerata. In questo preciso momento storico. Ebbene: a pochi giorni dall’evento, l’impressione è che la comunità cittadina e provinciale abbia accolto questo momento di riflessione in maniera molto tiepida, come se non ci fosse voglia di dire la propria, come se fossero in tanti a esser tentati di rimuovere una pagina nera della vita dalla nostra comunità. Ecco: da questo contesto nasce il post che segue.
Molti sostengono che il popolo italiano dia il meglio di sé stesso quando è in piena emergenza. Lo abbiamo visto ultimamente con le nostre zone terremotate: appena un anno fa fioccavano donazioni, elargizioni, sottoscrizioni; oggi, con tutti i problemi ancora aperti e la terra che non smette di tremare, sui paesi devastati dal sisma è scesa una coltre di disinteresse e di colpevole silenzio.
Lo stesso sta avvenendo per i fatti di Macerata dei primi di febbraio: mobilitazione immediata, antifascismo urlato e esibito, promesse e impegni di fare di Macerata un laboratorio di antifascismo e antirazzismo permanente.
E invece ora, con i primi tepori e le prime scampagnate primaverili, tutto sembra stia rientrando: è come se la la vita pacioccona della provincia anestetizzasse, senza curarle, le ferite della città.
Anche una iniziativa come l’open mic Qui (non) abita l’antifascismo (previsto per sabato prossimo, ore 17, alla Biblioteca Mozzi-Borgetti), evento che l’Istituto di Macerata da giorni sta divulgando, ha raccolto (per quel che posso capire e per quel che mi dicono le persone che concretamente stanno lavorando per organizzarlo) tiepide e distratte adesioni. Sarebbe interessante capire il perché.
Forse perché la parola “antifascismo” ormai fa paura? ci si vergogna di dirsi antifascisti? si considera l’antifascismo “divisivo” o “controproducente”?
Forse perché si crede (anche fra chi dice di sostenerlo e di considerarlo un presidio fondamentale) che non serva più un Istituto Storico della Resistenza e dell’Età Contemporanea a Macerata?
Forse perché si pensa che, se li dimentichiamo più in fretta possibile, poi ci sembrerà che i fatti di febbraio non siano mai accaduti?
Forse perché, banalmente, sono passate le elezioni e nessuno ha più nulla da guadagnare o da perdere da un dibattito sui valori fondanti della nostra democrazia?
Forse in definitiva, abbiamo sbagliato titolo: dovevamo togliere quelle parentesi e dire semplicemente: qui non abita più l’antifascismo.
Eppure, questo open mic è – sarebbe – un’ottima occasione, dopo le reazioni a caldo e la sovraesposizione mediatica, per parlare, riflettere, porsi domande e cercare nuovi approcci ad una realtà politico-sociale complessa e in continuo cambiamento. È – sarebbe – un’occasione di condivisione e costruzione di comunità. È – sarebbe – un modo per ribadire che, se consideriamo il nostro passato e ci sta a cuore il nostro futuro, non possiamo non dirci antifascisti. Questo open mic è. O meglio, sarebbe.
Niente mi meraviglia ancora. E mi dispiace, ma non riesco più nemmeno ad arrabbiarmi. Chissà come concepiscono la scuola del futuro. E quella di oggi.
Non mi meraviglio più di niente. Speriamo in un nuovo Umanesimo.
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