Giovedì prossimo, per festeggiare il Furioso che compie cinquecento anni, ci daremo, al Liceo di Recanati, a “letture furiose”. Ci saranno, oltre a Ludovico, Angelica, Sacripante, Astolfo e naturalmente Orlando, anche Marco Dondero, che ci porterà sulla Luna, e i ragazzi e le ragazze delle quarte coordinati da Sauro Savelli. Siete tutti invitati. Ci divertiremo!
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Da un po’ di tempo mi capita (è anche un piacevole effetto collaterale del mio lavoro) di andare più a teatro che al cinema. E mi è capitato di vedere delle cose molto belle che, se dovessero passare dalle vostre parti, vi consiglio di non perdere.
Furioso Orlando. Devo ammettere che avevo vaghi ma corposi pregiudizi su questo monologo (poi ho capito che proprio monologo non era) recitato da un divo del cinema. Mi chiedevo cosa portava un divo come Accorsi a cimentarsi in un’impresa di per sé ardua: portare a teatro il poema dell’Ariosto, che giusto Sanguineti e Ronconi… Vedendolo mi sono però fatto l’idea che forse ce l’ha portato l’umiltà di mettersi in gioco, e di faticare parecchio, perché non deve essere per niente facile – a parte la memoria – portare a spasso il pubblico fra tanti toni, personaggi e episodi diversi. Lo aiuta una grande spalla: Nina Savary, che, con il suo straniante accento francese non si limita a dare uno sfondo sonoro e musicale, ma fa da controcanto al testo, portando un sguardo femminile sulle vicende del Furioso che risulta illuminante e – direi – necessario (ma non diciamo troppo in giro che gli eroi di Ariosto sono maschilisti, che poi magari ci impediscono di leggerlo a scuola!). Il lavoro di sintesi e rielaborazione del testo del regista Marco Baliani è intelligente e efficace, divertente in alcuni azzeccati anacronismi e non privo di qualche attualizzazione “impegnata” che però non stona. Sia chiaro: non è una cosa “scolastica”, anche se – oltretutto – didatticamente è molto efficace.
Bottino di guerra. A proposito di pregiudizi: fino a qualche tempo ne avevo di grossi, grossissimi, sugli spettacoli teatrali amatoriali. Non so bene se perché li vedevo come occasioni di esibizionismo per ego ipertrofici o perché in fondo in fondo invidiavo il coraggio di chi faceva teatro per passione. Ma forse, alla fin fine, è la stessa identica cosa: i miei pregiudizi derivavano semplicemente da una lontananza, da una (auto)esclusione. Poi i casi della vita mi hanno portato a incrociare più da vicino queste esperienze, pur senza praticarle, è ho potuto sperimentare quanta emozione, tensione, forza c’era in queste serate di show fatti con pochi soldi e molto coraggio. Ora vado molto volentieri a vedere questi spettacoli: a volte, certo, la qualità dello spettacolo non è eccelsa, a volte l’organizzazione può essere abborracciata, ma arriva sempre un momento in cui senti quella vibrazione positiva, quella verità, che quando vai ad assistere ad uno spettacolo di professionisti non sempre percepisci. Poi, qualche volta, capita un piccolo miracolo, e tutto funziona alla perfezione. Per esempio la sera di venerdì 23 marzo ho rinuciato alla piscina e mi sono ritrovato con una quarantina di persone nelle grotte di un palazzo nobiliare di Tolentino, e lì sono stato catapultato con violenza in un mondo arcaico di guerra e di dolore declinato al femminile. Sono diventato partecipe della domanda: cosa succede ad una donna quando finisce una guerra? Lo spettacolo era tratto dalle Troiane di Euripide, e dal rifacimento delle medesime di Jean Paul Sartre, anche qui con qualche azzeccato inserto (su tutti, la straziante Sidun di Fabrizio de Andrè, che sembrava scritta apposta per quella storia). L’effetto è stato intenso e perturbante. Non so se siano previste repliche dello spettacolo, ma se lo trovate in giro approfittate. Disclaimer: una delle protagoniste (una delle più brave) è amica mia, ma non avrei scritto quello che ho scritto per amicizia, se non lo pensassi.
Il ventaglio. Ieri sera poi sono andato a vedere questa messa in scena di una commedia goldoniana. Non l’avevo mai letta né vista (c’ero andato vicino qualche tempo fa, ma poi avevo rinunciato), e non sapevo che aspettarmi. Avevo sempre visto un Goldoni piuttosto tradizionale, qualche volta vicino alla perfezione come nel caso della Trilogia della villeggiatura di Toni Servillo, ma ieri non ho certo rimpianto marsine e pizzi. L’idea di far reagire la lingua di Goldoni (mantenuta intatta) con le canzoni di Amy Winehouse e Lou Reed, con i costumi pop (per dire: le scarpe vanno dalle Converse alle Crocs) e i pennarelli fosforescenti, mettendoci in mezzo anche i sonetti di Shakespeare, qualche raccontino minimal e iperrealista, poteva sembrare azzardata. Però il regista ci ha messo molto del suo, a partire dall’aggiunta del personaggio di un Cupido che svolazza per la scena durante tutto lo spettacolo e rappresenta efficacemente l’incarnazione della funzione-amore che muove questa come tutte le commedie (e le vite) di questo mondo. Effetto finale: i ragazzi in età scolare presenti allo spettacolo (che ora, mentre scrivo, si sta replicando al Teatro Persiani di Recanati) hanno trovato Goldoni interessantissimo, spiritoso e brillante; e non si sono trovati per niente d’accordo con la matura signora del palchetto a fianco che – durante l’intervallo – chiosava scandalizzata “Io non ho mai visto uno scempio del genere”. Va bene così. Poi domani, a scuola, ci vengono a trovare gli attori della compagnia: che bello!