Bruciare Walter Siti

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(appunti più o meno sparsi sulla polemica letteraria di questi giorni)

Non so quasi niente di Walter Siti (parlo dell’uomo), della sua vita e del suo carattere. Non so quanto sia generoso o cinico, narcisista, misantropo o cos’altro. Di certo non credo sia uno sciocco, e siccome non è sciocco (credo) sapeva che scrivendo un romanzo con protagonista un prete pedofilo avrebbe suscitato polemiche e scandalo. Infatti.

Ha cominciato, per quel che ho captato io, Michela Marzano, con un articolo irritante per il suo moralismo un po’ sempliciotto, non degno di una affermata filosofa, che quantomeno dovrebbe sapere che quando ti avventuri in un campo non tuo (in questo caso, la critica letteraria) devi metterci un di più di attenzione, approfondimento e rigore.

Invece lei se ne esce con frasi come questa:

Uno scrittore deve poter parlare di tutto. Anzi, talvolta ha persino il dovere di farlo. La letteratura ha d’altronde le spalle larghe, e può sopportare quasi qualsiasi peso. Quasi.

Quasi? Come quasi? Oppure: “È troppo comodo, per uno scrittore, utilizzare la narrazione e nascondersi dietro la licenza del creare.” Insomma, la recensione di Marzano sembra la più vistosa dimostrazione dei danni che può fare quell’idea (molto diffusa) secondo la quale la letteratura non possa essere altro che un mezzo per trasmettere un “messaggio” (politico, morale, ideologico, o quel che è).

Poi son venute giù le cateratte del cielo: il libro di Siti è repellente, perché è repellente ogni romanzo che parli di pedofilia, e ignorante, perché dice cose superficiali e non vere sulla Chiesa cattolica. Come si vede, argomentazioni di altissimo spessore critico.

Questo è lo stato del dibattito: finisce così che bisogna scomodare bravi intellettuali come Emanuele Trevi e Massimo Onofri per ribadire, nelle pagine culturali dei grandi giornali borghesi nazionali, ovvietà che se trovi un bravo prof le capisci alle medie o al massimo al biennio del liceo, tipo che non bisogna mai fare confusione fra la voce narrante di un libro di narrativa e il suo autore, che possono pensarla anche in maniera molto diversa su un sacco di cose. Poi, andando un po’ avanti con gli studi, ma nemmeno troppo, si potrebbe anche scoprire che il narratore inattendibile è uno dei capisaldi della letteratura modernista, e così via.

Tornando al merito della questione, mi pare abbia riassunto bene Onofri:

se un libro riesce a consegnarci il male, questa può essere un’operazione moralmente molto nobile, più della “condanna edificante” del male stesso.

Non so poi se Siti riesca nell’impresa, e quanto e come, io il libro non l’ho letto; ma certo le stupidaggini che sono state dette sul suo conto me lo hanno già reso molto simpatico. Quasi più della bella recensione di Simonetti sul Domenicale del Sole.

Bonus: un articolo di Gilda Policastro che non parla di Siti, ma dello stato della critica, e quindi c’entra con il discorso (nb: l’eutanasia della critica di cui si parla nel titolo è citazione di un veramente aureo libretto di Mario Lavagetto, che vale la pena di recuperare). Anche questa polemica, pur meno visibile, è continuata, per esempio su Vibrisse, ma ormai si è fatto tardi e queste cose me le leggerò domani.

Questa vita tuttavia mi pesa molto

Questa vita tuttavia mi pesa molto è un libro di Edgardo Franzosini pubblicato da Adelphi nel 2015, e tecnicamente è la biografia di Rembrandt Bugatti, scultore animalista vissuto ai primi del Novecento e fratello di Ettore, fondatore della famosa casa automobilistica.9c82f9c8876cf3db3cf70bfd2cfb4b79_w600_h_mw_mh_cs_cx_cy

Dico tecnicamente perché in effetti la particolarità di Franzosini è proprio quella di scrivere biografie che – pur raccontando vite vere, ricostruite con una precisa documentazione – sembrano, sono, a tutti gli effetti dei romanzi, e la voce dello scrittore è ben presente e sicura. Posto insomma che il realismo è l’impossibile, e che una storia è comunque una storia, e che le parole non sono la vita, questo canuto milanese ha ben deciso di applicare il suo indubbio talento di scrittore non a storie di fantasia, ma a personaggi realmente esistiti che al tempo stesso rispetta e trasfigura.

Tutto sta, naturalmente, nel come, e confesso che così al primo libro non posso dire di aver capito qual è il segreto di questo scrittore (posto che segreti di tal fatta si possano mai disvelare), però l’effetto di fascinazione è stato totale. Annoto provvisoriamente tre possibili motivi: 1) la capacità di selezionare, fra le tante, una chiave di lettura profonda e perfettamente credibile della vicenda biografica raccontata, e restare coerente Bugatti and Donkey.jpgad essa (in questo caso: l’amore fortissimo per gli animali, che Bugatti “guarda con invidia [per la] loro beata inconsapevolezza”); 2) una scrittura precisa ma anche piena di spazi vuoti, aperti all’evocazione; 3) una struttura del romanzo come nascosta e molto raffinata.

Alla fine del libro resta un personaggio indimenticabile, il malinconico ed elegantissimo Rembrandt, questa specie di Buster Keaton della scultura che senza dubbio è vissuto in questo mondo fra 1884 e 1916, ma che non esisterebbe davvero senza le parole di questo esile volumetto arancione.

 

Bonus: piccola galleria di opere scultoree di R.B.