Più che altro due atteggiamenti e due impostazioni diverse: da una parte la riproposizione statica di una cultura che, presa in sé e per sé, rischia (schematizzo) di apparire non dico morta, ma sicuramente lontana, e quindi poco interessante; dall’altra il tentativo (magari anche un tantino velleitario, non so) di presentare quella stessa cultura non (o non solo) come un fine ma come uno strumento di conoscenza, di decifrazione e di partecipazione legato al presente.
O almeno così mi pare.
E tu, che sei parte in causa, come ti poni?
Le ultime riflessioni con cui di Lodoli conclude il suo pezzo mi commuovono.
I nostri giovani vanno incontro ad un futuro che a noi pare difficile e oscuro e ci preoccupiamo per loro. Offriamo allora con insistenza le nostre ricette, i nostri modelli, ma a loro non bastano, ne sono anzi saturi prima ancora di conoscerli. I nostri giovani e il loro futuro sono scaturiti soprattutto da ciò che siamo e siamo stati noi adulti, come famiglie e come società. Essi sono i nostri figli e il mondo etico, sociale, politico, economico, ambientale, in cui da adulti si muoveranno, è l’ eredità che lasciamo loro. Detto questo, confesso che è con struggimento e rabbia che a volte considero i loro tentativi di stare in questo mondo.
La cultura umanista va insegnata ai ragazzi, ma, se essi la rifiutano, noi insegnanti dobbiamo riprovarci. Dobbiamo essere credibili. Se quello che insegniamo è importante dobbiamo farlo credere loro, dobbiamo mostralo. Dobbiamo trovare il modo. E’ una sfida per noi. Dobbiamo cercare nuovi metodi, investire tempo a cercarli e metterci in gioco. La storia va conosciuta, la letteratura va incontrata, esse debbono essere insegnate perché arricchiscono e aiutano a vivere, perché sono belle. Ma esse sono una delle tante cose belle della vita. E non debbono assolutamente diventare un pretesto per incolpare i nostri giovani, per disprezzarli. Essi hanno prima di tutto bisogno di fiducia e energia per “reggere l’urto delle onde fragorose del mondo che sarà, che è già qui”. Dobbiamo cercare di evitare di riempire il loro futuro con le nostre pesantezze. E come dice Gaber:
Non insegnate ai bambini
ma coltivate voi stessi il cuore e la mente
stategli sempre vicini
date fiducia all’amore il resto è niente.
Grazie, Gianluca e Francesca, per i commenti. Mi ripropongono di ritornare sull’argomento in un post un po’ più meditato, che però ancora non trova il suo “centro”…
Più che altro due atteggiamenti e due impostazioni diverse: da una parte la riproposizione statica di una cultura che, presa in sé e per sé, rischia (schematizzo) di apparire non dico morta, ma sicuramente lontana, e quindi poco interessante; dall’altra il tentativo (magari anche un tantino velleitario, non so) di presentare quella stessa cultura non (o non solo) come un fine ma come uno strumento di conoscenza, di decifrazione e di partecipazione legato al presente.
O almeno così mi pare.
E tu, che sei parte in causa, come ti poni?
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Le ultime riflessioni con cui di Lodoli conclude il suo pezzo mi commuovono.
I nostri giovani vanno incontro ad un futuro che a noi pare difficile e oscuro e ci preoccupiamo per loro. Offriamo allora con insistenza le nostre ricette, i nostri modelli, ma a loro non bastano, ne sono anzi saturi prima ancora di conoscerli. I nostri giovani e il loro futuro sono scaturiti soprattutto da ciò che siamo e siamo stati noi adulti, come famiglie e come società. Essi sono i nostri figli e il mondo etico, sociale, politico, economico, ambientale, in cui da adulti si muoveranno, è l’ eredità che lasciamo loro. Detto questo, confesso che è con struggimento e rabbia che a volte considero i loro tentativi di stare in questo mondo.
La cultura umanista va insegnata ai ragazzi, ma, se essi la rifiutano, noi insegnanti dobbiamo riprovarci. Dobbiamo essere credibili. Se quello che insegniamo è importante dobbiamo farlo credere loro, dobbiamo mostralo. Dobbiamo trovare il modo. E’ una sfida per noi. Dobbiamo cercare nuovi metodi, investire tempo a cercarli e metterci in gioco. La storia va conosciuta, la letteratura va incontrata, esse debbono essere insegnate perché arricchiscono e aiutano a vivere, perché sono belle. Ma esse sono una delle tante cose belle della vita. E non debbono assolutamente diventare un pretesto per incolpare i nostri giovani, per disprezzarli. Essi hanno prima di tutto bisogno di fiducia e energia per “reggere l’urto delle onde fragorose del mondo che sarà, che è già qui”. Dobbiamo cercare di evitare di riempire il loro futuro con le nostre pesantezze. E come dice Gaber:
Non insegnate ai bambini
ma coltivate voi stessi il cuore e la mente
stategli sempre vicini
date fiducia all’amore il resto è niente.
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Grazie, Gianluca e Francesca, per i commenti. Mi ripropongono di ritornare sull’argomento in un post un po’ più meditato, che però ancora non trova il suo “centro”…
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