Lo stato dell’arte

Volevo parlarvi un attimo di Antonio e Anahì, che oggi sono andato a salutare prima che partissero per Milano.

Antonio è un regista teatrale, con cui lavoro da anni nelle scuole (e adesso un po’ anche fuori dalle scuole), giovane, geniale, incasinato quanto basta come deve essere un artista. E’ uno che prende ragazzi che non hanno mai fatto teatro e alla fine dell’anno gli fa fare delle cose straordinarie. Vede in una ragazza un mago, e lei diventa un mago; vede gli occhi di un adolescente e capisce a dicembre che dietro quegli occhi c’è l’attore che, a maggio, terrà in piedi tutto lo spettacolo. Antonio non lavora solo coi ragazzi, ma anche con i professionisti, e allora ogni suo lavoro diventa uno sguardo nuovo su un’opera.

Come tutti gli artisti, Antonio vede le cose prima che esistano.

Anahì l’ho conosciuta invece solo qualche giorno fa: è un’attrice, bellissima e bravissima. La sera del 25 aprile, con pochissimo tempo per provare, si è caricata sulle spalle le storie di decine di internate nei campi fascisti e le ha fatte magicamente rivivere. Tre giorni dopo, nelle case di terra di Ficana, è diventata per una sera una allucinata e tenerissima Antigone, ma è stata contemporaneamente anche Creonte, e anche Sofocle, e anche Anouilh, insieme a tutti i personaggi della storia. Anche lì senza niente o quasi che la aiutasse: il suo corpo, la sua voce, la sua fragile forza.

Come tutti gli artisti, Anahì fa esistere cose che prima non esistevano.

Sia Antonio che Anahì vengono da una delle più prestigiose scuole di teatro italiane; sia Antonio che Anahì hanno poco più di trent’anni e un grande talento; sia Antonio che Anahì, per quanto ne so, vivono una condizione lavorativa assolutamente precaria, come tantissimi giovani artisti di questo paese. Un paese dove le istituzioni si aspettano spesso che gli artisti lavorino gratis, e dove il pubblico spesso si aspetta che gli spettacoli non costino nulla. Come se chi fa, ad esempio, teatro, non abbia un affitto o un mutuo da pagare.

Oggi con Antonio e Anahì ci siamo presi un caffé insieme, abbiamo parlato di progetti futuri e delle difficoltà del loro lavoro; poi ci siamo salutati e loro hanno preso il treno per Milano. Ormai, dovrebbero essere arrivati.

Io sono rimasto qui, grato per la bellezza che le donne e gli uomini di teatro ci donano, amareggiato al pensiero di quanto un lavoro così prezioso sia spesso misconosciuto.

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