Due giorni fa Renata, non è la prima volta che la cito qui, ha messo su facebook questo post:
Hanno portato mio figlio in gita di istruzione al poligono – gita di ISTRUZIONE: A SPARARE coi proiettili di gomma al poligono – l’educazione interculturale e sessuale, contro la violenza, per l’integrazione NO, ma A SPARARE, sì
Io l’ho visto solo stamattina, e sotto c’erano una cinquantina di commenti così mi sono incuriosito e sono andato a leggere. I commenti, dico. C’era qualcuno, per esempio un ragazzo che io non conosco di persona ma che è fra i miei contatti su facebook, uno che ha un nome, e ha anche un cognome che sembra il diminutivo di un nome, c’era qualcuno dunque che per esempio diceva che sparare non significa per forza sparare alla gente, e che è anche uno sport, e che essere contro lo sparare è un pregiudizio e che se le mamme per questo pregiudizio vogliono impedire le gite a sparare al poligono allora queste mamme sono tali e quali alle mamme antigender. Questo sosteneva quel ragazzo che io non conosco di persona ma che non è la prima volta che, nei suoi commenti su facebook, non capisco bene se alle cose che dice ci crede davvero o fa solo per provocare. In ogni caso, voglio anche prenderla per buona, questa obiezione o provocazione che sia: mi faccio un po’ forza e cerco di pensare che andare a sparare a delle sagome con una pistola a proiettili di gomma sia un’attività educativa come le altre per un preadolescente.
Però mentre cercavo, da bravo cittadino progressista aperto alle idee degli altri, di mettermi in questa posizione di apertura verso le gite ai poligoni di tiro, mi è venuto in mente che sabato mattina, proprio mentre il figlio di Renata sparava a delle sagome di cartone con una pistola quasi vera, io stavo ad ascoltare lo scrittore Marco Balzano, che abbiamo invitato a parlare a Recanati coi ragazzi del liceo che avevano letto il suo libro L’ultimo arrivato. Lui ci ha raccontato che oltre a scrivere romanzi che vincono il Campiello, e anche altri libri che magari non vincono il Campiello ma sono lo stesso importanti, e oltre a fare l’insegnante di scuola pubblica, “cerca di portare un po’ di scuola” (ha detto proprio così, Balzano) anche in luoghi dove ce n’è troppa poca, per esempio nelle carceri. E ci ha invitato, docenti e studenti, a fare una volta una gita d’istruzione in un carcere. Dice, lo scrittore e insegnante Marco Balzano, lui che nelle carceri ci porta un po’ di scuola, che visitare un carcere vero, con le sbarre, i materassi sfondati, le celle e gli spazi per l’ora d’aria e tutto il resto, può essere veramente importante e istruttivo, per gli studenti quanto per i loro insegnanti.
Allora mi è venuto da formulare questo semplice pensiero, sul tema delle gite al poligono, che se andare al poligono di tiro può essere un’attività educativa come un’altra, e non voglio star qui a obiettare, allora va bene: facciamoci pure le gite d’istruzione. Però mettiamo almeno una piccola e semplice regola: che si faccia la visita al poligono solo dopo averne fatta una in un carcere.
Il punto non è mai proibire qualcosa, ma casomai avere chiare le priorità e qual è il progetto educativo che si vuole perseguire.
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Ora, però, vado a comprarmi Poesia di maggio perché c’è un inedito di Renata che secondo me merita molto, e forse c’entra anche con questo discorsetto qui sopra…