Qualche giorno fa è stata pubblicata su laletteraturaenoi una conversazione che ho avuto la fortuna di intrattenere con lo scrittore e insegnante Marco Balzano in occasione di una sua visita a Macerata e Recanati. Qui di seguito l’inizio; l’intervista completa si può leggere a questo link.
Incontro per la prima volta Marco Balzano all’ingresso di un albergo di Macerata il 6 maggio di quest’anno. Quando lo vedo entrare, con quel canestro di ricci in testa e lo zaino, il fisico minuto e scattante, ho una sensazione strana, come se mi venisse incontro, insieme allo scrittore e all’insegnante che è, il ragazzino e lo studente che Marco è stato qualche anno fa. La direi una sensazione di freschezza, se si capisce quel che voglio dire. Marco è appena arrivato nelle Marche per incontrare gli studenti che insieme a me, durante l’anno, hanno letto e discusso il suo romanzo L’ultimo arrivato. Nel pomeriggio dobbiamo incontrare i ragazzi di Macerata, il mattino dopo quelli di Recanati; in mezzo, gli ho strappato la promessa di una chiacchierata su scuola e scrittura per laletteraturaenoi. L’idea iniziale è di farla subito dopo l’incontro maceratese, ma poi ci facciamo catturare dalla dolcezza del pomeriggio di maggio, e preferiamo goderci il centro storico di Macerata. Decidiamo così che la nostra intervista la faremo il mattino dopo, in auto, nel tragitto verso Recanati.
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Ecco allora che, attraversando alle nove di mattina le luminose colline marchigiane, gli orizzonti leopardiani, accendiamo il registratore e cominciamo. Il primo spunto ci è offerto dalla recensione di Emanuele Zinato alla riedizione de Il figlio del figlio, comparsa proprio il giorno prima su questo blog, dove si metteva in luce la persistente attenzione al «valore del lavoro pedagogico» in tutti i romanzi di Marco Balzano. Partiamo allora da qui, da come convivono in Marco lo scrittore che nei suoi romanzi parla molto di scuola e di maestri, e il professore che da più di dieci anni insegna letteratura nelle scuole medie e nei licei…
In realtà, una interazione diretta fra lo scrittore e l’insegnante non posso dire che ci sia; i travasi, se ci sono, sono più impliciti e non dichiarati. Io, ad esempio, non potrei affermare che le questioni, i ruoli, i personaggi, le pagine in cui racconto la scuola siano un’influenza del mio lavoro di insegnante, sono più probabilmente una restituzione del mio continuare a sentirmi allievo. È una sorta di interiorizzazione, di memorizzazione di quel che ho imparato e delle figure che mi hanno insegnato a considerare la scuola come trincea, come riserva indiana di una società più giusta. Se devo dirti perché ho scelto di fare l’insegnante è perché a scuola realmente sento che c’è la possibilità di costruire una società più uguale, dove non conta quanti soldi hai, come sei vestito, qual è lo status sociale della tua famiglia. Questo mi ha affascinato fin da bambino, e poi in maniera sempre più consapevole man mano che crescevo. Insomma i miei maestri mi hanno stimolato a scrivere molto di più di quanto lo faccia il mio attuale lavoro di docente. E i maestri, aggiungo, è importante incontrarli, ma non è solo un fatto di fortuna: bisogna anche avere la predisposizione, il desiderio di trovarli. Un desiderio che chi fa la nostra professione deve saper mantenere vivo: un bravo insegnante è quello che ha ancora la stessa voglia di imparare di quando era studente.