Fra le tante cose che non mi convincono dell’ultima riforma scolastica e delle precedenti, quella che mi convince meno di tutte è l’organizzazione che è stata data all’Alternanza Scuola-Lavoro, che mi pare viziata da una certa confusione di fondo sugli obiettivi e da una impostazione fondamentalmente ideologica. Credo che, fra le tante battaglie possibili, quella per il cambiamento radicale di questo istituto sia una delle più urgenti e anche una delle meno velleitarie.
Ruggero Orilia è un brillante studente di Economia, ex allievo del Liceo dove lavoro, dove era rappresentante degli studenti e animatore del dibattito, fin da quei tempi un intellettuale militante impegnato su molti fronti, dal sociale alla politica alla cultura. Pochi giorni fa ha partecipato ad una discussione su Facebook su questo tema, e con argomentazioni molto solide ha ribattuto alle tesi di un professore che vedeva nell’ASL un valido strumento per attuare nientemeno che una rivoluzione democratica della scuola italiana, o qualcosa del genere.
Sulla scorta di quella discussione, ho proposto a Ruggero di scrivere un testo organico su questo argomento, lui l’ha fatto, e ora volentieri lo ospito in questo blog. La ricerca e le idee sono ovviamente di Ruggero, io ne condivido la gran parte, e in ogni caso mi pare che il testo racconti fatti ed esprima un punto di vista che possono essere interessanti per tutti coloro che a vario titolo si occupano di questi temi.
ALTERNANZA SCUOLA LAVORO: UN BILANCIO CRITICO
di Ruggero Orilia
La scuola italiana non prevedeva l’attività lavorativa all’interno del suo curricolo, venendo per questo criticata dalla pedagogia progressista, in parte ispirata dal marxismo : Marx vedeva nella precoce combinazione fra lavoro produttivo e istruzione, ovvero l’unione di lavoro produttivo remunerato, formazione spirituale, esercizio fisico e addestramento politecnico, una sintesi della scuola del proletariato. L’unica eccezione è forse l’inattuata “Scuola del lavoro” di Bottai, criticata in ambito antifascista da chi ci vedeva il rischio di un’offerta di manovalanza (semi)gratuita alle imprese.
Le cose cominciarono a cambiare con la scuola-della-autonomia di Luigi Berlinguer e, soprattutto, a partire dalla riforma Moratti. Si diffonde quindi l’alternanza scuola-lavoro. Tuttavia, prima dell’entrata in vigore della Buona Scuola (l. 107/2015), ci informa Confindustria, “secondo il rapporto di monitoraggio realizzato dall’Indire per l’anno scolastico 2013-2014 solo il 10,7% degli studenti delle scuole secondarie superiori ha seguito percorsi di alternanza scuola-lavoro” nel “43,5% degli istituti secondari di secondo grado” con “percorsi di alternanza [che] non superano mediamente le 70-80 ore nell’ultimo triennio”.
Interviene così la legge 107/2015. “Al fine di incrementare le opportunità di lavoro e le capacità di orientamento degli studenti, i percorsi di alternanza scuola-lavoro di cui al decreto legislativo 15 aprile 2005, n. 77, sono attuati, negli istituti tecnici e professionali, per una durata complessiva, nel secondo biennio e nell’ultimo anno del percorso di studi, di almeno 400 ore e, nei licei, per una durata complessiva di almeno 200 ore nel triennio … L’alternanza scuola-lavoro può essere svolta durante la sospensione delle attività didattiche …” nelle “imprese e gli enti pubblici e privati” individuati dal “dirigente scolastico”.
La legge impegnava altresì il governo a definire, in un apposito decreto delegato, la “Carta dei diritti e dei doveri degli studenti in alternanza scuola-lavoro”. Con questa ultima disposizione il Parlamento veniva incontro ad una richiesta delle associazioni studentesche maggiormente rappresentative, che da tempo chiedevano uno Statuto delle studentesse e degli studenti in stage, che completasse lo Statuto delle studentesse e degli studenti. Nell’ultima versione elaborata dalle associazioni, questo prevedeva, tra le altre disposizioni: un limite orario (8 ore) e annuale (30 giorni per i licei, 60 giorni per gli istituti) di ASL, il coinvolgimento dello studente, il diritto ad una copertura assicurativa, il diritto alle assemblee di classe, un rimborso a copertura delle spese sostenute dallo studente a carico dell’azienda, la costituzione di una commissione paritetica studenti-docenti referente per i docenti responsabili con funzione consultiva e di proposta in merito ai percorsi di alternanza
Mentre il governo ha reso le ore di alternanza immediatamente obbligatorie, si è dimenticato di scrivere il decreto delegato in merito alla Carta suddetta. Non sappiamo se e in che forma verrà alla luce.
Quando la discussione sulla Buona Scuola era al culmine, partecipai, in quanto coordinatore della Federazione degli Studenti Marche, all’organizzazione di una manifestazione studentesca per il 17 novembre (giornata mondiale dello Studente) 2014. Ricordo bene che il tema dell’alternanza non era molto sentito dalle masse studentesche: alcuni sembravano contenti di perdere qualche giorno di scuola. Tuttavia la nostra minoranza attiva decise di includere il tema dell’alternanza nella piattaforma della manifestazione ratificata dall’assemblea generale studentesca cittadina. Ci dicevamo contrari a “un aumento dell’alternanza scuola-lavoro senza garanzie”, chiedevamo l’approvazione dello Statuto degli Studenti in Stage per un’alternanza che fosse formazione, “né sfruttamento né perdita di tempo”, e una discussione in Parlamento della Legge di Iniziativa Popolare per una Buona Scuola della Repubblica. Questa prevedeva l’obbligo per la scuola di organizzare, nell’arco del triennio, percorsi di studio-lavoro con finalità formative e di orientamento, con una durata compresa fra le due e le tre settimane, in orario curricolare, a frequenza facoltativa.
Per fortuna, all’assemblea che concludeva la manifestazione, fu uno studente dell’istituto tecnico, Jonathan Banchetti, a spiegare a tutti, ma specialmente a noi, avanguardia composta da liceali, che l’alternanza era già un mezzo per preparare ad un lavoro senza diritti.
Prima dell’entrata in vigore della legge, temevamo che un aumento (o, in parecchi casi, l’introduzione) di un numero così alto di ore di alternanza avrebbe portato, nel migliore dei casi, a progetti privi di qualunque valenza formativa e, quindi, ad un perdita di tempo da dedicare allo studio, al tempo libero o a un’attività retribuita per lo studente, e, nel peggiore dei casi, all’utilizzo di studenti per lavoro gratuito e sfruttato, perfino in sostituzione di lavoratori veri e propri, magari in quelle aziende verso le quali un dirigente scolastico sempre più potente viene chiamato a cercare finanziamenti. Sapevamo in effetti tale conflitto di interessi si verificava a Recanati, dato che un’azienda del gruppo Guzzini finanziava (e finanzia) un istituto tecnico, i cui studenti svolgono l’ASL presso tale azienda.
In effetti l’ASL, come pensata dalla Buona Scuola, è parte integrante della ideologia della scuola-azienda, l’una in concorrenza con le altre, in cui il preside, con attributi manageriali, premia economicamente gli insegnanti che ritiene migliori, individua i docenti che ritiene più confacenti all’offerta formativa dell’istituto che, secondo una prospettiva mercantile, deve incontrare la domanda di istruzione delle famiglie, e la domanda di competenze delle aziende del territorio per il mercato del lavoro così come immediatamente dato, invitate ad influenzare e finanziare, assieme alle famiglie, le attività. Si tratta di una cesura storica rispetto a come la scuola veniva pensata a partire dalla Rivoluzione francese: l’educazione nazionale, pubblica, gratuita e uniforme nelle parole di Mazzini.
Dall’entrata in vigore della 107 si sono moltiplicati i casi che hanno fatto discutere. L’Espresso e il Fatto Quotidiano riportano vari esempi: c’è lo studente mandato a dormire in uno scantinato dai proprietari dell’albergo presso il quale era chiamato a svolgere 8 ore giornaliere per quasi un mese; ci sono studenti mandati di fatto a chiacchierare con gli impiegati comunali al Sud dove manca un forte tessuto produttivo; studenti di un Liceo classico mandati a lavorare in inquinanti raffinerie come piccoli operai; studenti del Liceo di Scienze umane mandati a raccogliere pomodori; la studentessa del professionale a cui capita di lavorare 10-12 al giorno. Per alcuni aziende l’ASL è anche un’occasione per farsi pubblicità, se non di vera propaganda. Uno studente ha raccontato che “all’inizio del progetto di alternanza è stata indetta una conferenza tenuta da un personaggio con vasta esperienza internazionale nei campi più disparati”, che dopo aver elogiato le grandi multinazionali, ha mostrato un video un video (link) nel quale un uomo sulla trentina affermava che il mondo del lavoro è cambiato, giustificava licenziamenti di massa con la scusa dell’innovazione tecnologica, promuoveva il lavoro gratuito giovanile in nome del “fare esperienza” e del “nessuno ti regala niente”. Nella grande maggioranza di questi casi gli studenti non vengono retribuiti né godono di una copertura delle spese, non prevista dalla legge.
Fa eccezione un caso recente che ha ricevuto una certa eco sulle reti sociali, in cui viene riportato da Luca Barbieri che “c’è stato un taglio al monte orario dipendenti grazie alle ore-lavoro gratuite della buona scuola e che questo comporta una diminuzione degli stipendi” in un Autogrill, in seguito alla presenza di studenti in ASL. Si tratta di un progetto aperto ai “migliori studenti di ogni scuola” (ovviamente non poteva mancare la retorica meritocratica!) per 6 settimane estive. Le scuole partecipanti ricevono un contributo aziendale di circa 400 euro a ragazzo, commisurato alla sua effettiva presenza. “Il contributo verrà poi dato allo studente per pagamento di attività didattiche ( viaggio di istruzione, stage all’estero, contributo di istituto ecc…)”. Si tratta di una retribuzione molto particolare, in cui non è fuori luogo vedere anche il rischio di un ricatto per gli studenti che al lavoro non “si sono comportati bene”. Inoltre non si capisce cosa c’entri lo sconto sul contributo di istituto, visto che questo è per legge volontario.
Purtroppo dal Ministero non arrivano segnali di ravvedimento. Toccafondi, sottosegretario all’istruzione si limita a dire che forse vanno limitati i percorsi durante le vacanze. “Così come italiano, storia e matematica non si fanno ad agosto preferisco pensare anche a questa attività durante l’anno scolastico; solo in alcune realtà come la costa romagnola si può pensare ad un’attività estiva”. In realtà Toccafondi rivela che gli studenti devono proprio andare a svolgere funzioni normalmente riservate a lavoratori retribuiti, in questo caso nel picco turistico. I fondi alle scuole per svolgere i progetti di alternanza rimangono molto pochi e da dividere con le scuole paritarie.
Inoltre l’alternanza scuola-lavoro viene inserita nell’esame di Stato, così da risultare rafforzata, evitandosi qualsiasi possibile contestazione. Secondo gli schemi di decreto legislativo in attuazione della legge 107: “l’esame di Stato tiene conto anche della partecipazione alle attività di alternanza scuola-lavoro”; “nell’ambito del colloquio il candidato espone, mediante una breve relazione e/o un elaborato multimediale, l’esperienza di alternanza scuola-lavoro svolta nel percorso di studi” (di fatto l’ASL sostituisce la cosiddetta tesina, o, più precisamente “un argomento o … la presentazione di esperienze di ricerca” da parte del candidato) ; “al diploma è allegato il curriculum dello studente” che comprende anche le attività svolte in ASL “ai fini dell’orientamento e dell’accesso al mondo del lavoro”. Inoltre viene aperta la “possibilità di attivare percorsi di alternanza scuola-lavoro, già dalla seconda classe del biennio” per gli istituti professionali. Tutto questo, con un tessuto produttivo italiano così diverso per quantità e qualità, apre il tema di una riduzione del valore legale di studio. In ogni caso, della coerenza del nuovo esame di Stato con l’impianto della Buona Scuola occorrerà tornare in seguito.
Davanti a questo quadro terribile, si può fare qualcosa. Al mondo della scuola tocca rivendicare che lo Statuto degli studenti in alternanza diventi legge e che si stabilisca una sensibilissima riduzione dell’obbligo orario di ASL (non più di 150 ore), se non perfino di un’abolizione; ai sindacati dei lavoratori il diritto di veto su accordi di ASL che danneggiano le retribuzioni o i posti di lavoro; a tutti opporsi a incentivi e sgravi fiscali per le imprese che ospitano studenti in alternanza scuola-lavoro richiesti da Confindustria. In ogni scuola gli studenti, insegnanti, genitori, ausiliari-tecnici-amministrativi democratici possono, già da ora, impegnarsi per le seguenti azioni:
-inserire all’interno del regolamento scolastico lo Statuto degli studenti in alternanza, base di qualsiasi accordo di ASL con le aziende (chi scrive ha, invece, più di un dubbio su di una vera e propria retribuzione dello studente, che rischia di fare perdere qualsiasi aspetto formativo dell’ASL, ove presente),
-escludere l’attivazione dell’ASL durante la seconda classe del biennio negli istituti professionali,
-escludere dall’ASL qualsiasi azienda che abbia licenziato, delocalizzato, avviato mobilità, attivato cassa integrazione o ristrutturato in peggio le condizioni salariali e lavorative negli ultimi anni (come propone il collettivo Clash City Workers)
-pensare a criteri etici ed ecologici per le aziende che accolgono gli studenti.
Purtroppo l’ASL introdotta dalla Buona Scuola comporterà un grave danno: moltissime persone ragionevoli smetteranno di pensare all’inserimento del lavoro all’interno dei programmi scolastici. Chi scrive ritiene invece che il tema sia ineludibile per chi desidera lottare per la realizzazione di una scuola democratica per una società altra. Si tratta di qualcosa che Gramsci aveva prospettato nei Quaderni: “scuola unica generale di cultura generale, umanistica, formativa, che contemperi giustamente lo sviluppo della capacità di lavorare manualmente (tecnicamente, industrialmente) e lo sviluppo delle capacità del lavoro intellettuale”.
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