Parole gravi e avventate

Non riesco a trovare nemmeno un briciolo di ironia e di distacco, nel segnalare quel che il Presidente del Consiglio Mario Monti ha dichiarato poco fa in una nota trasmissione televisiva.

Monti dice due cose semplici e gravissime: una, che gli insegnanti, non accettando l’aumento (che è un sopruso) di sei ore di lezione settimanali a parità di stipendio e senza nessuna contrattazione, si sono dimostrati “non generosi”. Due, che per difendere i loro privilegi hanno strumentalizzato la rabbia degli studenti. La prima accusa è maldestra e pelosa, la seconda infamante e semplicemente stronza.

I giovani sono arrabbiati perché la politica e l’economia dissennata degli ultimi decenni hanno scaricato sul loro futuro il peso dei loro sprechi, delle loro inettitudini. La scuola è l’unica istituzione che con generosità ha continuato a dare loro qualcosa, anche quando è stato difficilissimo farlo. Non so davvero quale sia il piano perseguito (temo non ce ne sia nessuno) ma in ogni caso provare a mettere zizzania fra gli insegnanti e i loro alunni non può portare davvero niente di buono. Il bello è soltanto che non succederà, perché per fortuna i ragazzi sono intelligenti e critici, e sanno distinguere la dedizione di un insegnante dalla parole vuote di un tecnocrate.

Ma Monti non parlava agli studenti, stasera, parlava all’opinione pubblica, per convincerla ancora di più che gli insegnanti della scuola pubblica sono uno spreco di risorse, dei fannulloni. Magari da questo spera di ricavare l’avallo ad altri tagli ad un sistema già al collasso.

Io penso che Monti non sappia nemmeno di cosa sta parlando: non sa che dopo la riforma Gelmini le cattedre sono già frammentate e le classi numerosissime, che noi prof lavoriamo tantissimo a casa per dare un’offerta di qualità accettabile in un contesto difficilissimo, e che aumentare di 6 ore (lui maldestramente e ipocritamente parla di 2, ma ne erano previste 6) la nostra cattedra significherebbe aumentare di almeno 12 ore il nostro orario di lavoro settimanale, rendendo la nostra vita un caos in cui sarebbe impossibile studiare, lavorare per la qualità e la didattica che lui auspica. Ha ragione, Monti, quando dice che bisogna rinnovare la scuola e la professione insegnante, ma per farlo bisogna partire da una discussione comune, da un contratto, da una riforma vera della scuola, fatta per seguire un’idea moderna, non (come è stato fatto da Gelmini-Tremonti) per trovare il modo di tagliare 8 miliardi dal bilancio del ministero.

Questo è quello che riesco a dire ora, a caldo, quando le parole fanno anche fatica ad uscire per la rabbia e l’indignazione. Di certo è ormai ineludibile che si faccia qualcosa per comunicare davvero all’opinione pubblica quel che è davvero il nostro lavoro, la sua importanza, la sua necessità.


La foto l’ho scattata ieri, alla manifestazione Cgil di Roma. Sono orgoglioso di esserci stato, stasera ancora di più.

Per vedere di nascosto l’effetto che fa

– Guarda, potremmo proporre una legge sulla reintroduzione della schiavitù nei latifondi del Meridione. Dopo un mesetto di propaganda leghista e qualche notiziola di cronaca fatta trapelare ad arte, avremmo dalla nostra un bel pezzo di opinione pubblica e…

– Maddài, ti pare? Siamo nell’Italia del 2021, mica nel Congo Belga. In Europa ti ridono dietro. Ti ricordi cosa è successo quella volta con… com’è che si chiamava, quel tizio che andava sempre in giro col girocollo blu? Ecco, Marchionne, sì, giusto.  Ecco: solo perché voleva introdurre regole di lavoro un po’ meno arcaiche nelle sue fabbriche ci ha messo anni a far passare la sua linea… Ora la schiavitù mi pare francamente un’idea troppo, come dire, moderna. Se non altro in anticipo sui tempi. Non trovi?

– Be’, ma che hai capito: mica dico di introdurla ora, detto-fatto! Noi intanto la buttiamo lì, facciamo una proposta di legge, diciamo che la congiuntura è quella che è, la concorrenza dei narcos messicani e delle mafie thailandesi è sempre più agguerrita, ce lo chiede l’Europa… Cose così, insomma, basta parlare con un po’ di stampa amica e tempo due mesi vedrai che la schiavitù diventerà oggetto di dibattito, se ne parlerà come di una dello opzioni sul tappeto. Qualche comico ci farà le battute, i talk show organizzeranno speciali. Se ne parlerà, se ne valuteranno i pro e i contro, non sarà più un tabù insomma. Ti ricordi il “Protocollo 24ore”?

– Ventiquattrore? No. C’entra il nostro giornale, forse?

– No, che c’entra il Sole? Il piano che abbiamo usato nel ’12 per risolvere il problema della scuola pubblica.

– Ah già! Quando abbiamo buttato lì l’idea di aumentare di un terzo a parità di stipendio l’orario di lezione degli insegnanti della scuola pubblica: un bell’azzardo, quella volta.

– Però, devi convenire, ha funzionato. Nel giro di un paio d’anni abbiamo risolto tutto, e ora abbiamo un sacco di personale libero per i lavori socialmente utili… Il colpo di genio è stato buttar lì l’idea come fosse la cosa più normale del mondo e, quando ormai se ne parlava come di una cosa quasi fatta, toglierla dal piatto (lì il segreto), dire che non è il caso, che s’è scherzato: se l’avessimo fatta subito ‘sti professori avrebbero fatto le vittime, gli scioperi, il piagnisteo, le catene… sai che palle! Invece così, quando abbiamo ritirato (per qualche mese) la legge, son passati loro per privilegiati e tutti a dargli contro: ti ricordi? “quaranta ore come gli operai, dovete lavorare!”, diceva la gente. E lasciare tutto com’è è sembrato ai più quasi come se gli avessimo fatto lo sconto. Roba da pazzi, bellissimo!

– E sì, è stata proprio una bella operazione. Ci hanno anche scritto dei saggi. Poi la tua idea di dire, lo stesso giorno, che non c’era una lira per pagare gli esodati (quelli sì, poveretti, eran messi male!) è stata la ciliegina sulla torta. Mi ricordo ancora i titoli dei giornali del giorno dopo: “Salvo l’orario dei prof. Mancano i fondi per gli esodati”. Non c’è che dire, proprio un bel protocollo. Quindi dicevi…

– Dicevo di mettere (così, provvisoriamente…) nella Legge di Stabilità un articolo che reintroduce la schiavitù nelle regioni del Sud…

Vendere fiato

In un paio di post della settimana scorsa avevo dato testimonianza, tramite Sciascia, di come è vero che “tutto è stato detto”. Se ne potrebbe fare una rubrica fissa. Questa volta riporto le parole illuminanti di un padre nobile della nostra Repubblica a proposito del lavoro degli insegnanti. Devo la segnalazione all’amico e collega Alessandro G.

«Gli insegnanti, il cui orario settimanale è andato via via aumentando, sono diventati delle “macchine per vendere fiato”. Ma “la merce fiato” perde in qualità tutto ciò che guadagna in quantità. Chi ha vissuto nella scuola sa che non si può vendere impunemente fiato per 20 ore alla…settimana. La scuola a volerla fare sul serio logora. E se si supera una certa soglia nasce una “complicità dolorosa ma fatale tra insegnanti e studenti a far passare il tempo”. La scuola si trasforma in un ufficio, o in una caserma, col fine di tenere a bada per un certo numero di ore i giovani; perde ogni fine formativo». (Luigi Einaudi, Il Corriere della Sera, 21 aprile 1913)