Dove, partendo dalla cronaca, si finisce a sognare la scuola del tempo lento.

Ieri sera, da qualche sofisticato think tank vicino a Monti (sul cui percorso, per inciso, ha detto bene Renzi: “Poteva fare il Ciampi. Fa il Dini“: bum!) è uscita un’altra bella bolla d’aria sulla scuola: “scuole aperte undici mesi l’anno, le famiglie saranno contente”. La bolla è durata lì in sospeso talmente tanto poco che non s’è fatto in tempo né a capire quando come cosa e perché, né – alla fine – a spaventarsi più di tanto. Così, in questi casi, la cosa più interessante diventa la reazione a caldo sondaggi on line (Repubblica: 42% favorevoli; Huffington: 40%, Skuola.it: 19%; Twittersuca; Libero e Giornale non pervenuti, che magari si finiva per scoprire che i lettori erano d’accordo con Monti, non sia mai).

In ogni caso, oggi Monti risponde su twitter (su twitter!) così: “Ma chi ha mai parlato di taglio delle vacanze scolastiche???”. Sì, molto interrogativo: “Machihamaiparlatoditagliodellevacanzescola-stichepuntointerrogativopuntointerrogativopuntointerrogativo”. E Bersani risponde “Prima di parlare di allungare o accorciare vacanze estive, teniamo le scuole aperte tutto il giorno per attività didattiche”.

Ecco, come non ho capito cosa volesse dire (e tantomeno fare) Monti, così non capisco bene nemmeno cosa voglia dire (o fare) Bersani. Dico solo questo però: oggi, dopo le lezioni, mi sono fermato a scuola, ho mangiato una pizza al volo, ho passato la pausa pranzo a parlare di scuola e di film con una collega-amica con cui non avevo occasione di parlare da tanto tempo, poi ho fatto un paio d’ore di laboratorio teatrale con dei ragazzi molto in gamba. Sono tornato a casa un po’ stanco, però anche un po’ contento della giornata passata a scuola. Insomma, se trovano un modo intelligente di farla, a me questa cosa di tenere aperta la scuola anche il pomeriggio piace: potrebbe liberare un sacco di energia, e trasformare la scuola in un posto gradevole dove stare, godersi un tempo un più lento, riscoprire magari anche il valore dell’ozio; e forse smetterebbe di essere, la scuola, quel posto nevrotico che è, dove si impara ad essere docili ingranaggi di un meccanismo fordista, un posto da cui scappare appena finito di seguire (o di tenere) una lezione.

Una scuola del tempo lento, ecco: così la chiamerei. Così mi piacerebbe cominciarla a pensare.

Sull’argomento segnalo anche Galatea Vaglio e, da tutt’altra prospettiva, Leonardo Tondelli.

Parole gravi e avventate

Non riesco a trovare nemmeno un briciolo di ironia e di distacco, nel segnalare quel che il Presidente del Consiglio Mario Monti ha dichiarato poco fa in una nota trasmissione televisiva.

Monti dice due cose semplici e gravissime: una, che gli insegnanti, non accettando l’aumento (che è un sopruso) di sei ore di lezione settimanali a parità di stipendio e senza nessuna contrattazione, si sono dimostrati “non generosi”. Due, che per difendere i loro privilegi hanno strumentalizzato la rabbia degli studenti. La prima accusa è maldestra e pelosa, la seconda infamante e semplicemente stronza.

I giovani sono arrabbiati perché la politica e l’economia dissennata degli ultimi decenni hanno scaricato sul loro futuro il peso dei loro sprechi, delle loro inettitudini. La scuola è l’unica istituzione che con generosità ha continuato a dare loro qualcosa, anche quando è stato difficilissimo farlo. Non so davvero quale sia il piano perseguito (temo non ce ne sia nessuno) ma in ogni caso provare a mettere zizzania fra gli insegnanti e i loro alunni non può portare davvero niente di buono. Il bello è soltanto che non succederà, perché per fortuna i ragazzi sono intelligenti e critici, e sanno distinguere la dedizione di un insegnante dalla parole vuote di un tecnocrate.

Ma Monti non parlava agli studenti, stasera, parlava all’opinione pubblica, per convincerla ancora di più che gli insegnanti della scuola pubblica sono uno spreco di risorse, dei fannulloni. Magari da questo spera di ricavare l’avallo ad altri tagli ad un sistema già al collasso.

Io penso che Monti non sappia nemmeno di cosa sta parlando: non sa che dopo la riforma Gelmini le cattedre sono già frammentate e le classi numerosissime, che noi prof lavoriamo tantissimo a casa per dare un’offerta di qualità accettabile in un contesto difficilissimo, e che aumentare di 6 ore (lui maldestramente e ipocritamente parla di 2, ma ne erano previste 6) la nostra cattedra significherebbe aumentare di almeno 12 ore il nostro orario di lavoro settimanale, rendendo la nostra vita un caos in cui sarebbe impossibile studiare, lavorare per la qualità e la didattica che lui auspica. Ha ragione, Monti, quando dice che bisogna rinnovare la scuola e la professione insegnante, ma per farlo bisogna partire da una discussione comune, da un contratto, da una riforma vera della scuola, fatta per seguire un’idea moderna, non (come è stato fatto da Gelmini-Tremonti) per trovare il modo di tagliare 8 miliardi dal bilancio del ministero.

Questo è quello che riesco a dire ora, a caldo, quando le parole fanno anche fatica ad uscire per la rabbia e l’indignazione. Di certo è ormai ineludibile che si faccia qualcosa per comunicare davvero all’opinione pubblica quel che è davvero il nostro lavoro, la sua importanza, la sua necessità.


La foto l’ho scattata ieri, alla manifestazione Cgil di Roma. Sono orgoglioso di esserci stato, stasera ancora di più.