Gab Golan, un giorno, fu invitato a pranzo in una casa dove avrebbe incontrato delle persone tanto anziane da ricordare la tragedia della guerra, vissuta sulla propria pelle insieme ai suoi nonni. Era, quella, una limpida giornata di primavera e Gab, andando a pranzo, si meravigliò ancora una volta dell’azzurro del mare sullo sfondo.
Quel giorno si parlò di tante cose, vennero fuori aneddoti divertenti e storie drammatiche, e Gab era contento perché sentiva che stava riannodando qualche filo della sua storia, intrecciandolo con quello di una storia più grande.
Fra una storia e l’altra, una vecchia signora aveva fatto un interessante discorso sui tedeschi, che non le stavano per niente simpatici, diceva, perché nessuno poteva toglierle dalla testa che se loro si fossero ribellati, Hitler non avrebbe potuto fare certe pazzie, soprattutto quella degli ebrei; anche se lei non era ebrea, era cristiana lei! ma non ci pensavano i tedeschi che sarebbero stati condannati dalla storia per questi orrori, si chiedeva la signora. Questo era il discorso, e a Gab non era nemmeno sembrato un discorso brutto. Ma a quel punto Gab fece un errore.
L’errore fu di guardare l’ora sul cellulare, e soprattutto di approfittarne per sbirciare un social network: fu così che gli comparve il messaggio di una giovane amica che diceva “700 minuti di silenzio”, e Gab, inquieto, scorse in giù alla ricerca di un senso a quelle parole, e vide accavallarsi notizie di mare, morti, scafisti, salvini, sciacalli, naufraghi, barconi, guerra, europa… E non servì leggere un articolo da cima a fondo per capire cosa stesse succedendo.
Gab, riemerso dal flusso di notizie, ci aveva pensato un po’ e poi aveva provato a dire ai commensali che, certo, non era la stessa cosa, non si possono paragonare due fatti storici così diversi, però chi ci dice che anche noi non saremo giudicati molto negativamente dalla storia? perché anche oggi, è innegabile, succedono cose orribili, anche vicino a noi, di cui siamo corresponsabili, e noi quasi sempre ci giriamo dall’altra parte. Adesso, per esempio, veniva fuori che proprio quella notte un’altra barca nel canale di Sicilia, forse settecento morti, eccetera eccetera. Cosa avrebbero detto i nostri nipoti di questa lunga e rimossa fila di morti per acqua?
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Meglio farla finire qui, questa storia, perché nel seguito prendeva il sopravvento, a quel tavolo, il linguaggio della propaganda televisiva, i luoghi comuni dello scontro di civiltà. Nessuna possibilità – per Gab – di far valere (anche presso chi era stato un tempo vittima) le ragioni di chi muore per nostra colpa, o per nostra omissione, che è la stessa cosa.
Forse questo tentativo di sentirci innocenti finché si può, finché l’orrore non ci invade la casa, è umano: ma allora l’umanità è davvero terribile.