Una cosa era certa: non avrei cominciato a scrivere questo blog finché non gli avessi trovato un titolo che mi sembrasse adeguato. Fosse stato per le cose da dire, gli appunti da prendere, i pensieri da fissare, TQC poteva essere nato molto tempo fa. Non foss’altro perché per uno che passa un po’ di tempo sulla rete un blog è un buon modo di prendere appunti, per se stesso prima che per gli altri.
Però mi mancava il titolo: da tempo ci pensavo, e ogni tanto ho anche registrato su wordpress dei domini dai nomi banali o bizzari, che ora stanno lì, vuoti, probabilmente destinati a non essere mai usati. Molti di quei nomi erano omaggi più o meno espliciti ad autori che amo. Ad esempio avevo pensato di chiamare questo blog lesnuageslabas, in onore del primo dei piccoli poemi in prosa di Baudelaire, il cui protagonista professa un amore esclusivo per le nuvole che corrono all’orizzonte; ma magari ne sarebbe nato un blog vagamente poetico, certamente fumoso, lontano dalla concretezza dei giorni, delle cose che faccio e che vedo, così ci ho rinunciato. Ha avuto poi anche l’inevitabile tentazione leopardiana, e ho registrato sia operettemorali sia lericordanze sia, con una certa maggiore convinzione, leremitadegliappennini, l’appellativo con cui Leopardi veniva chiamato da un amico svizzero-fiorentino, e che certo dice qualcosa di me, di questi miei anni a Recanati.
Ma i titoli letterari sono sempre rischiosi, vincolanti, pretenziosi. Così sono passato a tutt’altro e nella mia testa per un po’ il futuro blog si è chiamato nonmeneintendo, un intercalare che usava come premessa ad ogni discorso un’amica, in una stagione lontana: in fondo qui parlerò come sempre di cose che conosco poco, avendo rinunciato da tempo ad essere specialista in qualcosa, e quel titolo poteva essere davvero il più adatto. Ma sarei passato per il falso modesto che poi pontifica su tutto, e così ho lasciato perdere anche questo titolo.
Ci sono state anche ipotesi diverse, come canepino, un omaggio (suggerito da Fabio) al luogo dove sono cresciuto; o gabgolan, il nome che mi ha dato una volta Marco e che uso spesso sulla rete; o altri ancora che non ricordo più.
Poi l’altro giorno, per caso, ho riascoltato una vecchia canzone di Francesco De Gregori, e ho sentito la sua voce fermarsi su queste tre parole banali e perfette prima che qualcuno dal pubblico urlasse – fuori tempo – l’ultima parola (“passare”) del verso; parola che poi De Gregori, burbero e indifferente, ha cantato quand’era giusto farlo, poche battute dopo.
Banale, perfetto, fuori tempo. In quel momento ho capito che questo blog poteva cominciare ad esistere.
Aggiornamento: …e invece mi dicono che i blog non sono poi così fuori tempo come pensavo…