Poesie per la quarantena / 14

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“Di chi aspetta sempre un inverno / per desiderare una nuova estate”: oggi mi sono venuti in mente questi due versi di Francesco Guccini sull’attesa. Chissà come starà, il Guccio, se avrà paura, lui ormai vecchietto, di questo mostro che ci tiene in scacco, e come penserà alla nuova estate…

In quei versi mi sono sempre riconosciuto, ho sempre vissuto sulla mia pelle la perenne insoddisfazione di chi sa apprezzare meglio l’attesa che il compimento, di chi preferisce il lento arrivare dell’estate fra maggio e giugno all’esplosione del luglio e dell’agosto. E che ne sarà, del nostro maggio e del nostro giugno?

Perciò la poesia di oggi è Lettera di Francesco Guccini, ma aggiungo anche altre due poesie per musica che in qualche modo sviluppano il tema, una di Niccolò Fabi, una di Jovanotti.

Lettera

Il giardino di ciliegi fiorito
Agli scoppi del nuovo sole
Il quartiere si presto riempito
Di neve, di pioppi e di parole.
Alluna in punto si sente il suono
Acciottolante che fanno I piatti
Le tv sono un rombo di tuono
Per lindifferenza scostante dei gatti.
Come vedi tutto normale
In questinutile sarabanda
Ma nellintreccio di vita uguale
Soffia il libeccio di una domanda.
Un g ed un dubbio eterno,
Un formicaio di cose andate
Di chi aspetta sempre linverno
Per desiderare una nuova estate.

Il resto, se vi va, ascoltatelo

Da: Francesco Guccini, D’amore, di morte e di altre sciocchezze

Foto: Guccini a Pavana, davanti casa sua (dal web).

Poesie per la quarantena / 10

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La poesia per la quarantena di oggi l’ha scritta una poetessa che è anche un’ amica: Norma Stramucci. Una donna di grandi passioni e di finissima sensibilità umana, che ha conosciuto tutte le piccole e grandi gioie della vita, e anche le più grandi tragedie, e ha saputo e voluto fare di tutto questo una poesia pura e essenziale. Tante cose belle e brutte che un’altra persona avrebbe forse tenuto per sé, lei le ha trasformate in canto, e ce le ha regalate. E’ il caso di questa poesia che Norma ha scritto in questi giorni per la sua mamma, molto anziana e malata,  ricoverata in una casa di riposo. E la condizione delle case di riposo, in questi giorni strazianti, è una delle più strazianti. Questa è la poesia:

Mamma 11-17 marzo 2020

Mamma che ho chiuso il mio cuore
davanti al tuo letto il 128.
Mamma senza nessuna collana
sul pigiama. Io non ho posto
per altro dolore.
E quando assorbi te stessa
nello stato soporoso
sento che vai dall’angelo nostro,
il figlio mio
mentre brancolo io
con la mia testa e la ragione
-non posso andare in altro luogo,
oggi che il mondo è in pandemia-
come in una giostra impazzita
intorno in tondo
ai tuoi calamari viola.
Mamma mia mammina non morire adesso
che vorrò farti un funerale bello
te lo ricordi ma’, quanta gente da Andrea?
E un milione di abbracci e baci
di gente pure sconosciuta. Che bello mamma,
ieri che stavo attenta
a non respirarti addosso
e ti lesinavo persino
una carezza.

Che brutto mamma, oggi
che pure questo
mi è tolto.
E un filo di lacrima non esce
dal mio cuore chiuso.

La poesia di Norma Stramucci è inedita, e la riproduco su gentile concessione dell’autrice.

La foto è della mamma mia, invece, e del giardino che adesso non posso vedere.

Poesie per la quarantena / 9

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Un pensiero che si fa spesso in questi giorni riguarda il disagio di fronte al dolore altrui. Quanto è lecito sdrammatizzare, godere dei piccoli piaceri quotidiani che pure in quarantena ci sono concessi, provare a coltivare un po’ di bellezza quando tutto intorno sono solo notizie di strazio e paura? quando a Bergamo, per dirne una, i forni crematori non bastano più?

Pensando fra me e me a queste domande (mentre recuperavo, nel malandato giardinetto sotto le scale, un’erba cipollina rispuntata, un rosmarino mezzo secco, residuati della scorsa stagione che in tempi normali avrei forse sostituito senza pietà e oggi mi paiono invece preziosissimi), mi è tornata alla memoria una poesia di Mario Luzi, forse quella che di lui amo di più.

Ricordo di averla scovata in un quaderno di poesie di vari autori che comprai – avrò avuto vent’anni – da un bancarellaro sul lungomare di Civitanova, una sera d’estate. Aprendo a caso mi ritrovai davanti questi versi: dalla festosa notte civitanovese venni catapultato in questa oscura notte danubiana, in questo albergo strampalato, presso questo pianto rimosso dalla nostra coscienza. Ecco la poesia:

Il pianto sentito piangere
nella camera contigua
di notte
nello strampalato albergo
poi dovunque
dovunque
nel buio danubiano
e nel finimondo di colori
di ogni possibile orizzonte
dilagando
oltre tutti i divisori
delle epoche
delle lingue
sentito bene sentito forte
nel suo forte rintocco di eptacordio
e rimesso nel fodero di nebbia
del sonno
e della non coscienza
riposto nel buio nascondiglio
del sapere non voluto sapere
fino a quando?-

Da: Mario Luzi, Per il battesimo dei nostri frammenti, 1985.

Foto: Una bambina a Idlib (ph. by Nazeer Al-Khatib, dal web).

Poesie per la quarantena / 4

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Non sono mai stato un gran giardiniere. L’anno scorso con M. abbiamo comprato questo geranio, che ha attraversato più o meno incolume questo mite inverno senza ricevere nessuna cura, abbandonato nel nostro giardinetto che è poco più di un sottoscala. La pioggia è stata poca, e l’acqua data dall’uomo anche di meno. Eppure stamattina ho visto sbocciare questo piccolo fiore, del colore che a M. era tanto piaciuto.

L’attaccamento alla vita di tutti gli esseri viventi, fiori o uomini (e un po’ anche quella di esseri semiviventi come i virus, per certi versi) è sempre affascinante. E commovente nella sua apparente insensatezza. E nella sua meraviglia, se per esempio un venerdì 13 di un anno bisesto e funesto, nel mezzo dell’imperversare di un’epidemia, un bambino decide di venire al mondo e cominciare a lottare. Ma anche nella sua crudeltà e nel suo cinismo di tante volte: mors tua vita mea, per questa volta non è toccato a me, ancora no, ancora no. Sempre di vita si tratta, lotta stupore fatica paura, costruzione e distruzione.

E quanto siamo attaccati alla vita oggi, noi piccoli esseri umani, in quella che tanti stanno paragonando a una guerra. E dunque la poesia di oggi è un grande classico della poesia di guerra, con quella meravigliosa capacità di Ungaretti di parlare di cose enormi e indicibili con la semplicità di un bambino. Si intitola Veglia, e Ungaretti l’ha scritta dentro una trincea durante la Prima Guerra Mondiale.

Un’intera nottata
buttato vicino
a un compagno
massacrato
con la sua bocca
digrignata
volta al plenilunio
con la congestione
delle sue mani
penetrata
nel mio silenzio
ho scritto
lettere piene d’amore

Non sono mai stato
tanto
attaccato alla vita

Da Giuseppe Ungaretti, L’allegria. La foto, questa volta, è mia.