Spigolature ratzingeriane

Una cosa seria e due tre no a margine della notizia (che definire storica è poco) del giorno.

La cosa seria: sono stato molto colpito dal gesto, oggettivamente tragico, anche perché la particolare condizione di un Papa costringe a prendere una decisione del genere in una perfetta (se guardiamo alla sola dimensione terrena) solitudine. Certo: mi rendo bene conto di quanto per il diretto interessato quella solitudine sia ben altrimenti ricca e piena: ma questo non diminuisce, anzi amplifica forse, la tragica grandezza di un gesto del genere. Colpisce anche la specularità di questa scelta rispetto al modo in cui ha affrontato la fine del suo pontificato il predecessore di Benedetto XVI, Giovanni Paolo II: questo ha mostrato la sua fragilità nella perseveranza, quello nella rinuncia. In ogni modo due approcci alla “fine” che fanno riflettere anche uno come me, così abissalmente lontano da quelle vite, da quelle scelte, da quelle fedi.

Le stupidaggini, invece, riguardano due perplessità sul testo ufficiale latino delle dimissioni:

1) quel riferimento a dimissioni che avverranno a die 28 februarii MMXIII, hora 29: questa hora 29 cos’è? un modo di contare le ore pontificio che a me sfugge? un errore grossolano di trascrizione? un segnale in codice? o magari l’indizio che è tutto uno scherzo: “Mi dimetto, sì, alle ore 29” (“…che non esistono”; come quell’amica mia che diceva: “Lo sposo? Certo, a ottembre“).

2) per quel che ci capisco io (e non è molto, in verità) in “pro Ecclessiae vitae” c’è una e di troppo. Tocca mettere in discussione il dogma dell’infallibilità del papa?

Ne aggiungo una terza: pare che in Vaticano molti, ascoltando le parole del papa, non abbiano capito cosa stava dicendo. Eh, il latino…

[Aggiornamento: dall’audio originale che si può sentire in rete risulta chiaro che B. dice vita e dice hora vigesima. E’ un errore dei trascrittori pontifici. Sono più tranquillo.]

Chi parla male

Adriano Sofri probabilmente sarebbe stato un grande filologo, sulla scia magari del da lui tanto ammirato Sebastiano Timpanaro, se non avesse fatto altro nella vita. Stamattina ha esercitato la sua capacità di analisi e di esegesi sulla sentenza alla base dei fatti che hanno coinvolto quel disgraziato bambino in tuta blu; fatti che tutti conoscono ormai fin troppo bene.

L’articolo si Sofri mi ha fatto venire in mente tante cose: una scena memorabile di Palombella rossa, una pagina ancora più memorabile di Una storia semplice di Leonardo Sciascia (e relativa scena – molto fedele – del film, con il grandissimo Volontè); i commenti ad un concorso di magistratura di qualche anno fa, e anche la brillante prosa di uno, che fra l’altro, ha diretto un giornale quotidiano con una nobile storia dietro le spalle.