Il rammarico e l’incanto

che festa è

Fra due giorni è il 25 aprile, festa della Liberazione, una festa di cui molti hanno dimenticato il senso, e vanno a cercarlo su Google. Una festa che molti hanno cercato di sfruttare, addomesticare, snaturare. Ma c’è, al fondo, dietro la data che ricorda l’entrata dei partigiani a Milano e, per sineddoche, tutte le città d’Italia liberate dai nazisti e dai fascisti, una storia che ci interroga e ci richiama alle nostre responsabilità. Ci chiede di decidere da che parte stare perché siamo figli di quei ragazzi e quelle ragazze che non hanno potuto scegliere l’indifferenza; persone a cui la storia ha chiesto: con l’esercito della RSI o sulle montagne? Una terza via non si è data, per loro, quasi mai.

A quella pagina della nostra vicenda nazionale non possiamo non guardare con incanto, per come la Storia ha saputo trarre da individui apparentemente uguali a noi tanta forza e tanto coraggio, e con rammarico, per quanto, di ciò che i partigiani si aspettavano da un’Italia liberata dalla dittatura, non si è saputo realizzare.

Di questo rammarico e di questo incanto parlava già, nel 1965, il grande Carlo Dionisotti, filologo e storico della letteratura, militante del Partito d’Azione (un partito generoso e utopico, che però “non votavano nemmeno le nostre fidanzate”, diceva un altro grande azionist9788806192549_0_0_307_80a, Gigi Meneghello, finito pure lui come Dionisotti per “dispatriare” in Inghilterra). Il grande critico ne parlava recensendo un libro (la Storia della resistenza italiana di Roberto Battaglia, uscita per Einaudi nel 1964) pubblicato in quegli anni decisivi per la costruzione di una narrazione della Resistenza (gli anni in cui esce postuma Una questione privata, gli anni della celeberrima prefazione al Sentiero dei nidi di ragno di Calvino, gli anni in cui Meneghello pubblica I piccoli maestri, libro “scritto con un esplicito proposito civile e culturale: […] esprimere un modo di vedere la Resistenza assai diverso da quello divulgato, e cioè in chiave anti-retorica e anti-eroica”). In quella recensione, che si può leggere nei suoi Scritti sul fascismo e sulla Resistenza, a cura di Giorgio Panizza (Einaudi, 2008), Dionisotti scriveva queste parole che a me sembrano bellissime e dolorosamente valide ancora oggi:

 

Non è il caso […] di cristallizzare dopo vent’anni il rammarico, che inevitabilmente ci ha un poco avvelenato la vita e continuerà ad avvelenarcela, di non aver saputo e potuto coronare l’opera della Resistenza con un’Italia più sana, più schietta, più nuova. Se non avessimo un qualche veleno in corpo, non saremmo uomini, né saremmo qui a celebrare le imprese e  sacrifici di uomini che vent’anni fa si batterono per il sacrosanto veleno dell’odio e della guerra non meno che per il balsamo dell’amore e della pace. […] Importa oggi, come importò allora, vincere l’insidia e l’eccesso del veleno, risolverne il flusso nel sangue di una vita attiva intrepida e limpida […] una vita anche aspra e pronta e senza illusioni, ma non senza l’incanto di una maggiore libertà e di una maggiore giustizia nella convivenza umana.

Buon 25 aprile, a chi ricorda ancora che festa è.

PS: Scrivendo questo post mi sono imbattuto in questa notizia, di un altro libro che forse vale la pena di procurarsi.

Sii coraggiosa

Ieri mattina mi sentivo pieno di sconforto, e mi sono ritrovato in pieno nelle parole di Christian Raimo (da qui):

Aboliamo la festa del 25 aprile. In questi giorni verrebbe da fare la modesta proposta di eliminare questo giorno di festa dal calendario o in alternativa di sostituirne la denominazione: chiamiamola festa di primavera o qualcosa del genere. Sanciamo una condizione di fatto, l’assoluta indifferenza della gran parte delle istituzioni, dei mezzi d’informazione, dell’opinione pubblica per la ricorrenza della liberazione dell’Italia dal fascismo.

Quell’indifferenza la vedevo tutta intorno a me, e un po’ anche dentro di me – per reazione. Poi però, contro tutto e tutti, soprattutto contro un cielo che ha rovesciato su Recanati tutta la pioggia della stagione, ci siamo ritrovati, con tante ragazze e tanti ragazzi, nel cortile di una vecchia scuola dove abbiamo festeggiato quei vecchi e giovanissimi ragazzi che oltre settant’anni fa hanno saputo scegliere. C’erano tanti musicisti che hanno cantato la passione, la rabbia e l’amore; c’erano i ragazzi del Centro che vendevano vecchi libri per autofinanziarsi, le sindacaliste che raccoglievano firme per i referendum, l’immagine di Nunzia sul muro della scuola che ci raccontava di quando faceva la staffetta, le ragazze della libreria-caffé Passepartout, la più bella e nuova realtà culturale di Recanati, c’erano i tanti ragazzi dell’ARCI con i panini il vino l’entusiasmo, c’erano Giacomo a vendere libri e fare tessere dell’ANPI, Ruggero a parlarci con passione e competenza di Costituzione, Piergiorgio che dava voce a Calamandrei, Maria Vittoria che commossa e commovente leggeva le parole di Leone a Natalia; queste, ad esempio, che lui scrive a lei poche ore prima di morire:

Immagina che io sia un prigioniero di guerra; ce ne sono tanti, soprattutto in questa guerra; e nella stragrande maggioranza torneranno. Auguriamoci di essere nel maggior numero, non è vero, Natalia? Ti bacio ancora e ancora e ancora. Sii coraggiosa.
Leone

E in mezzo a tutto questo c’ero io, che osservavo tutto questo e grazie a questo, grazie a tutti loro, mi scuotevo di dosso la polvere dello sconforto e del disincanto.

E adesso si va al corteo (sempre sotto la pioggia) – e poi a metter su Internate.

Buon 25 aprile, festa della Liberazione, a tutte e tutti.

I voti alle tracce / 2

(continua da qui)

4. Saggio breve storico-politico. L’argomento di questo saggio breve è bellissimo: attuale, importante, decisivo (anche se presentato, a mio avviso, con una formulazione poco perspicua e non del tutto coerente coi documenti proposti: “Il Mediterraneo: atlante geopolitico d’Europa e specchio di civiltà”). Però ho delle forti riserve sui documenti proposti: il brano di Matvejevic è estrapolato da un testo molto più lungo in cui vengono messi in campo tutti i problemi oggetto del suo libro del 1991, con uno stile che funziona più o meno così: un paragrafo in cui vengono elencati alcuni fatti e problemi, con stile enumerativo – poi una lapidaria e problematica frase finale. Ripetere questo gioco per alcune pagine è un modo arguto di mettere in tavola i problemi che verranno discussi in un libro o in un saggio; estrapolarne una piccola parte rischia di dare alla frase finale un valore ultimativo, di verità rivelata. Cosa può pensare, lo studente, nel leggere un documento che elenca tutte le culture presenti nella storia del Mediterraneo e si conclude con: “Si esagera evidenziando le loro convergenze e somiglianze, e trascurando invece i loro antagonismi e le differenze. Il Mediterraneo non è solo storia”? Il brano successivo, poi, inizia col dirci che “nell’immaginario comune dei nostri tempi il Mediterraneo non evoca uno spazio offerto alla libera circolazione di uomini e merci” e parla di “una certa resistenza ad aprirsi verso l’esterno”; poi le cose si fanno un po’ confuse per via di un refuso (un refuso davvero grave e incredibile, che sembra fatto da uno che sta copiando un testo senza capire il senso di quello che trascrive: “le minacce più o meno reali del fondamentalismo” diventa “le minacce più o meno reali al fondamentalismo”, che dà un senso paradossale al tutto! un po’ come quando i monaci medievali ignoranti del latino sostituivano agmen con amen…), e di una serie di strane frasi su “Italia al mare”, “scrutare gli orizzonti”, “paure che ci avevano allontanato dalle coste”, “difficoltà di “tenere” politicamente il largo” che probabilmente hanno a che fare con il tema generale del libro di Frascani, ma qui, boh… Il terzo e ultimo documento è il più chiaro, dice in pratica che è importante una collaborazione fra Europa e Maghreb, e impone allo studente il confronto con una tesi chiara e forte, forse troppo. Voto: 6-.

5. Saggio breve tecnico-scientifico. Molti ormai l’hanno detto: questo è decisamente il saggio più brutto e debole di quest’anno, ed è davvero una terribile ed eloquente iattura che più della metà dei ragazzi abbia scelto proprio questa prova. L’impressione è che manchi qualcuno, in commissione, che abbia chiara coscienza delle potenzialità di un saggio breve di argomento scientifico. I documenti proposti sono solo due, e questo non è per forza di cose un male (anzi!), ma hanno due difetti gravi: il primo, che sono sostanzialmente portatori delle stesse tesi sugli argomenti proposti; il secondo, che non hanno nulla a che fare né con la scienza né con la tecnologia, ma al massimo con la psicologia sociale più spicciola, con lo stato presente dei costumi quotidiani degli italiani. Un po’ poco. Troppo poco. Non invidio i colleghi che dovranno leggersi decine di riflessioncine su quanto tempo ci fanno perdere i social network, e su quanto sia però bello poter essere sempre in contatto con gli amici lontani anche quando non possiamo vederli di persona. Voto: 4.

6. Tema di storia. Il tema meno scelto (solo il 2,5 per cento degli studenti) è quello forse più interessante, il più innovativo, rivoluzionario per certi versi. Invece della solita proposta di un tema storico che poteva essere svolto solo da chi conoscesse alla perfezione, almeno a livello scolastico/manualistico, i fatti e i problemi storiografici, felice è la scelta di un tema come la Resistenza, che si presta a molte riflessioni anche sull’Italia di oggi, proposto in una chiave (le vicende del nostro Stato nazionale) che lo lega ad altri argomenti tra i più studiati nel quinto anno (Risorgimento, Prima Guerra Mondiale). Ma soprattutto va evidenziata la scelta, nuova per questa tipologia, di proporre l’argomento attraverso un documento: il testamento di un militare, partigiano monarchico, ex soldato della Prima Guerra Mondiale e ex ufficiale dell’esercito italiano sotto il fascismo. Una storia complessa, lontana dall’oleografia tradizionale del partigiano, che poteva offrire l’occasione per mettere in evidenza i drammi personali, la difficoltà delle scelte etiche ed esistenziali di chi si è trovato a vivere quei frangenti storici: grande storia e piccole storie che si incontrano, secondo l’approccio forse più proficuo con dei ragazzi adolescenti. E soprattutto, sottolineo ancora, l’importanza in sé della presenza di un documento (con il conseguente accorciamento delle distanze con il saggio breve, a sua volta snellito nell’apparato documentario), quasi a dire che nessun discorso storiografico si può fare senza partire da un dato documentale. Fa piacere, infine, che tale documento sia stato preso da un sito che è frutto del lavoro della rete degli Istituti per la Storia del Movimento di Liberazione in Italia, di cui in questo modo viene riconosciuto il lungo e approfondito lavoro sulle vicende di quel periodo. L’han fatto in pochi, dicevo: un po’ perché a questo argomento viene dedicato spesso poco tempo, a scuola. Ma il vero motivo dello scarso successo credo sia da ricercare piuttosto in altri fattori: una ostilità a priori (giustificata in gran parte dalla difficoltà delle tracce degli ultimi anni) verso il tema storico; e l’assenza (per me ingiustificata) della pratica del tema nella didattica della storia e della filosofia: se i ragazzi sono abituati a scrivere testi lunghi solo con l’insegnante di lettere, è ovvio che si orienteranno più facilmente sulle tipologie sulle quali avranno fatto più esercizio. Voto: 9.

7. Tema di ordine generale. Anche qui, come nel saggio breve di cui al punto 3, si chiede ai ragazzi di riflettere sulla scuola, sul suo senso in una prospettiva personale e mondiale. Il brano scelto è, pur se non originalissimo, ben tagliato e ricco di spunti: oltre al tema fondamentale dell’importanza del diritto allo studio, offre almeno un paio di suggerimenti interessanti per indirizzare gli sviluppi critici richiesti: il rapporto educazione-pace (“La pace… l’istruzione…”), e l’importanza del diritto all’istruzione femminile (“Sedermi a scuola e leggere libri insieme a tutte le mie amiche“). Non ci fosse stato il facile ma brutto tema del punto 5, molti avrebbero scelto questa traccia, e sarebbe stato certamente un bene. Voto: 7,5.

Una considerazione generale, per concludere: va registrata con grande soddisfazione la scelta di privilegiare proposte che richiedano, piuttosto che l’esposizione di conoscenze, la dimostrazione della capacità dello studente di dire qualcosa di personale e allo stesso tempo argomentato sul “mondo” attraverso il confronto con dei testi. L’altro dato molto significativo è che tutte e sette le tracce proposte contengono un apparato documentale: ovvio per l’analisi del testo e il saggio breve, meno per il tema storico e il tema generale. Questo, unito alla drastica riduzione dei documenti dei saggi brevi, ha comportato un tutto sommato salutare accorciamento delle distanze fra le varie tipologie. Resta da chiedersi: se questo percorso dovesse proseguire, dove arriveremmo? Forse alla riproposizione dei temi di una volta, quelli in cui a partire da una lunga frase di Leopardi o Carducci, si chiedeva allo studente di impostare una argomentazione su un tema considerato importante e significativo? Si vedrà.

Intanto di analisi delle tracce d’esame ne sono uscite parecchie: segnalo ad esempio, l’ultima che ho avuto modo di leggere: questa.

Istantanee dalle Langhe

Ingrao ergo sum

Stasera Holliwood Party ha dedicato uno spazio a Pietro Ingrao, che compie cento anni oggi, essendo nato il 30 marzo 1915, quando l’Italia non era ancora entrata in guerra. La prima. Fra una sosta e l’altra, in auto, con il segnale che andava e veniva, ho colto le seguenti due note.

Negli anni della cospirazione antifiascista, Ingrao come copertura scriveva soggetti cinematografici tratti dalle novelle di Verga (collaborava con Visconti, che all’epoca gli appariva come un bizzarro aristocratico in fissa col cinema (”Ma tutti eravamo convinti di capirci molto più di lui, in fatto di cinema”). Comunque questi cospiratori comunisti che, negli anni in cui si preparava la Resistenza, erano in grado di riscoprire la grandezza di quel grande conservatore siciliano capace come nessun altro di raccontare l’epopea dei vinti, mi commuovono.

Poi un tizio raccontava che c’è stato un momento in cui girava il motto “Ingrao ergo sum”, che è bello di suo, ma più bello se si scioglie l’acronimo “sum”, che stava per “senza utopia mai” o, a scelta, “senza umanesimo mai”.

Buon compleanno, vecchio!